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L’onda anomala che ieri ha scatenato la tempesta perfetta è partita da Siena. In una giornata di panic selling il caso Montepaschi ha tenuto banco dal primo all’ultimo minuto di contrattazioni, visto che il titolo è colato a picco con un ribasso finale del 14,76% a 0,77 euro e consistenti volumi scambiati (121 milioni di azioni passate di mano, pari al 4% del capitale della banca toscana).

Per i soci non si tratta peraltro di una tegola isolata, dal momento che solo nell’ultimo mese il valore delle azioni si è assottigliato del 36,2% a fronte del -17,3% registrato dal Ftse Italia Banche. La capitalizzazione è scesa a 2,7 miliardi, un livello allarmante se si pensa che prima dell’aumento di capitale da 3 miliardi realizzato nel giugno scorso Mps valeva 2,42 miliardi. Difficile stabilire la provenienza delle vendite di ieri, anche se il presidente della Consob Giuseppe Vegas ha parlato esplicitamente di «mani italiane ed estere» e per tamponare il calo la commissione ha deciso di vietare temporaneamente le vendite allo scoperto sulla banca senese, come già fatto la scorsa settimana.
Esiste insomma un rischio Mps per la finanza italiana? Ieri le dealing room se lo sono chiesto con insistenza, anche se apparentemente nulla nella documentazione rilasciata dalla banca e dagli organi di vigilanza lo lascia intendere.

Anche se nel terzo trimestre 2015 i crediti deteriorati netti sono cresciuti da 23,7 a 24,8 miliardi su 112,5 miliardi di impieghi, il peggioramento è stato in linea con l’andamento del sistema bancario italiano e non ha costituito una sorpresa per gli analisti. In una nota diffusa ieri l’amministratore delegato Fabrizio Viola ha peraltro insistito sul miglioramento della gestione operativa e sui risultati positivi degli Srep, evidenziando che «la flessione del titolo è avvenuta in assenza di eventi gestionali idonei a giustificare tale andamento. Infatti il nostro piano industriale è confermato e lo stiamo portando avanti in linea con quanto presentato agli investitori e alle autorità di vigilanza, anche con riferimento alla gestione e cessione degli npl dove ci stiamo in particolare», ha spiegato ancora Viola, «concentrando per ottenere risultati anche migliori rispetto al piano».

Certamente comunque il 2016 sarà un anno decisivo per Mps sia per gli esami in vista, a partire dal nuovo stress test, che per le iniziative che verranno prese in materia di npl. Il piano industriale prevede cessioni di deteriorati per un nominale di 5,5 miliardi, ma è chiaro che il contesto regolamentare sarà decisivo per la realizzazione dei deal. In assenza di una bad bank di sistema che addolcisca l’impatto delle operazioni, Mps potrebbe infatti andare incontro a nuove svalutazioni e indebolire la propria posizione patrimoniale. La preoccupazione del mercato potrebbe insomma essere prospettica, anche alla luce delle difficoltà incontrate finora nell’individuazione di un partner. La Bce non ha mai fatto mistero di voler accasare Rocca Salimbeni con una grande banca italiana o straniera, ma finora gli advisor Citi e Ubs non hanno individuato alcun candidato valido. Anche se, va detto, oggi l’acquisizione di Mps sarebbe un affare visto che l’istituto senese capitalizza meno di pesi medi come Bper o Bpm .

Tutto questo comunque non giustifica ancora il tonfo di ieri e gli scenari apocalittici di cui si sussurrava in qualche dealing room. Perché sia fatta completa chiarezza sullo stato di salute della terza banca italiana non resta che attendere i risultati di bilancio, attesi per venerdì 5 febbraio. Solo in quella sede si capirà se i ribassisti avevano ragione o se il loro comportamento è stato dettato soltanto da irrazionalità o intenzioni speculative.

(Pubblichiamo questo articolo uscito sul quotidiano Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori)

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