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“La TV dei bambini” non è esattamente associabile alla “TV per i bambini”. La curiosità, il desiderio di scoperta, o la stimolazione sensoriale, non si accendono solo a certi orari e con alcuni canali.

Nell’era della convergenza digitale e del multitasking, le nuove generazioni alimentano la loro curiosità culturale da qualsiasi fonte accessibile, purché appaghi la loro voglia di esplorare. Alcune ricerche internazionali degli ultimi anni hanno fotografato un accelerato abbassamento della soglia di fruizione dei dispositivi digitali sotto i 5 anni e, sebbene favole e tv siano ancora i media più usati, cresce il consumo di video sul web, app e videogiochi.

Nuovi allarmismi? Il servizio pubblico, i genitori e le scuole sanno di non poter chiudere gli occhi di fronte a questo scenario, sanno di dover leggere e partecipare a tale cambiamento, non certo per fermarlo o rallentarlo (ammesso che sia possibile), ma per accompagnarlo con più responsabilità e consapevolezza. Ma in che modo? Dove iniziare?

La questione è complessa e non è nuova, il tema della tutela dei minori è stato a lungo oggetto di discussione pubblica e, oggi più di ieri, è ancora aperto.

La maggior parte delle politiche in passato si è basata prevalentemente sulla protezione del minore. Oggi è compito dei media continuare a garantire la qualità della rappresentazione nella prospettiva della tutela, ma con un nuovo habitus: l’empowerment del bambino e dell’adulto. Quindi più strumenti cognitivi ed emotivi per una maggiore autonomia e consapevolezza dei cittadini, anche sui media e la loro rappresentazione del mondo.

Il servizio pubblico può essere il primo innesco per una reazione a catena, il traino di un nuovo orientamento civile, che tuttavia non può farcela da solo. Vista la delicatezza e la complessità del tema, la Rai, insieme ad altri attori sociali responsabili del clima culturale italiano, può lavorare per promuovere e creare nuove forme di attenzione pubblica sulla cultura dei bambini.

Forse i tempi ancora non sono maturi per presentare proposte concrete di intervento, ma è giunta certamente l’ora per iniziare a coltivare una diversa informazione e promozione dell’infanzia, che stimoli un maggiore educazione ai diritti e alla dignità umana, e sia di ispirazione per tutti gli spazi educativi, compresi quelli mediali.

“Tv dei bambini”, allora, deve diventare il baluardo etico della RAI, il principio culturale alla base della programmazione televisiva di oggi: una tv per formare il cittadino di domani, una proiezione su chi sei (e chi sarai), su come vedi il mondo e su quello che gli altri si aspettano da te. Non si tratta solo di “galateo del linguaggio” o di “narrazioni così perbeniste da sembrare evidentemente irreali”, la questione riguarda i modelli culturali e comportamentali che si celano dietro le storie e i format e che inevitabilmente condizionano (a volte in modo tragico) modi di fare e di pensare, adulti e non.

È questo il punto. Non tutelare il cittadino dalla “cattiva TV”, ma lavorare sinergicamente con tutti per la buona tv.

Da dove iniziare? Ci vorrebbe un’ipotesi di comunicazione integrata che sfrutti le opportunità espressive della transmedialità e il potere virale dei canali social, partendo ad esempio dalla strategia del “buzz” (o ronzìo), usata nel marketing.

Il primo passo è delicato per il forte impatto valoriale e culturale: tramite board di professionisti, ricercatori e esperti del settore si individua uno o più concept da immettere e discutere ciclicamente nel circuito della Rete mediale.

Attraverso i linguaggi multimediali, si intercettano i bisogni e le emozioni del pubblico rendendo il concept stimolante e curioso. La scelta del timbro comunicativo è fondamentale per attirare l’attenzione, orientare l’interesse, farsi conoscere e, quindi, incrementare le opportunità di parlarne in modo positivo.

Se gli utenti riconoscono nel messaggio un forte valore emotivo o culturale, spontaneamente parteciperanno alla sua condivisione virale, attivando un circuito conversazionale sui canali social. Così il cittadino, con le sue idee, le proprie motivazioni e i suoi interessi, diventerebbe promotore e diffusore di cultura, contribuendo a cambiarla e contagiando gli altri alla condivisione.

L’incoraggiamento e il sostegno a scambiare suggerimenti, esperienze e opinioni, nonché a diffonderle nelle proprie cerchie, genera un continuo “buzz” sulla nuova cultura dell’infanzia. Ed è qui che può ripartire la vocazione del servizio pubblico della Rai.

Ida Cortoni, Ricercatrice di sociologia dei processi culturali e comunicativi e coordinatore dell’Osservatorio Mediamonitor Minori della Sapienza.

 

Proposte concrete per una buona Tv

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