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L’assemblea sindacale indetta dai lavoratori del Colosseo, ragione della temporanea chiusura al pubblico del sito, ha determinato un fiorire di “commenti” e “approfondimenti” tecnici guidati più dal rumore mediatico che dalla rigorosa analisi normativa e contrattuale.

Come noto, a seguito dei fatti romani il Governo è intervenuto subito, approvando, nel Consiglio dei Ministri già convocato per la stessa giornata di venerdì, il decreto-legge 20 settembre 2015, n. 146.

La novella ha ricondotto al novero dei servizi pubblici essenziali «l’apertura al pubblico di musei e luoghi della cultura», subordinando dunque l’esercizio del diritto allo sciopero in questo settore alle norme previste dalla legge n. 146/1990, che − attraverso un articolato sistema di procedure – garantisce (o meglio, dovrebbe garantire) il contemperamento dei diversi interessi in gioco: da una parte il diritto costituzionale allo sciopero e dall’altra quello alla fruizione da parte dei cittadini di servizi considerati indispensabili.

Al di là delle valutazioni di opportunità nella scelta della decretazione d’urgenza ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione, è doveroso sottolineare alcuni aspetti che sembrano essere sfuggiti a un dibattito mediatico molto “orientato”.

In primo luogo, è difficile non considerare l’intervento del Governo come una ulteriore puntata del lungo “scontro aperto” tra il Primo Ministro e il sindacato, più che un correttivo tecnico. Nel caso di specie, infatti, le rappresentanze sindacali hanno indetto una assemblea nelle forme previste dall’art. 20 dello Statuto dei lavoratori. Non hanno voluto mettere in atto alcun “sciopero selvaggio”, come invece parte della stampa ha lasciato intendere, incoraggiando lo sdegno dell’opinione pubblica, colpita dalle immagini televisive delle lunghe code di turisti, vittime senza colpa di una assemblea posizionata in un momento delicato della giornata proprio per causare disagi.

È questo quanto si può contestare ai promotori della riunione, l’evidente volontà di causare disagio per il tramite dell’assemblea, poiché non pare futile il motivo della convocazione, ossia il mancato pagamento ai lavoratori del salario accessorio arretrato da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Arretrati che presto verranno corrisposti, in virtù dello sblocco del relativo fondo da parte del Mibact, come comunicato dal Ministro competente qualche giorno dopo la contestata assemblea, seppure riconducendo la decisione alla giornata antecedente i fatti del Colosseo.

Indipendentemente dalla tempistica, tale decisione è l’indizio più evidente delle ragioni dei lavoratori e, forse, anche la prova che sono stati i sindacati, decreto sì o decreto no, a vincere questa partita sul piano tecnico, essendo l’assemblea convocata proprio per chiedere lo sblocco dei fondi. Alla vittoria “giuridica” certamente non corrisponde una vittoria mediatica, che invece è da assegnare al Governo.

A riprova della limitata portata tecnica dell’intervento di urgenza, si osserva che anche se si fosse trattato di un’assemblea illegittima, la Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, quella che in forza del nuovo decreto “vigilerà” anche sui sindacati dei musei, ha negli anni predisposto un adeguato regime sanzionatorio che permette di ricostruire agevolmente come si sarebbe mossa l’Authority qualora avesse avuto già giurisdizione sul settore. Nell’eventualità in cui l’assemblea, sebbene legittimamente convocata, nel concreto si fosse svolta con modalità differenti rispetto a quelle previste dalla contrattazione collettiva (quindi anche in caso di mancata garanzia sull’erogazione dei servizi minimi), sarebbe stata da considerarsi come astensione dal lavoro soggetta alla disciplina della legge n. 146/1990.

La Commissione, valutando il caso di specie, avrebbe potuto ordinare: nei confronti dei lavoratori, sanzioni disciplinari; avverso le sigle sindacali, sospensione dei permessi sindacali retribuiti, temporanea esclusione dalle trattative, pagamento di una sanzione pecuniaria (laddove l’organizzazione non godesse di un diritto da poter sospendere). Infine la Commissione avrebbe potuto disporre il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria anche nei confronti dell’amministrazione di appartenenza.

Che la decretazione di urgenza del Consiglio dei Ministri non abbia aggiunto nulla di nuovo rispetto alla disciplina previgente in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali lo si capisce anche studiando la prassi contrattuale. Con l’accordo siglato l’8 marzo 2005 tra l’ARAN e la larga maggioranza delle organizzazioni sindacali, si sono definite le norme di garanzia per l’esercizio del diritto di sciopero da parte dei lavoratori del comparto Ministeri, cui fa riferimento anche il personale in forza al Colosseo.

L’accordo, che «individua adeguatamente i servizi pubblici da considerare essenziali e le prestazioni indispensabili da assicurare in caso di sciopero», è stato ritenuto idoneo dalla Commissione di garanzia con propria delibera e già annovera tra i servizi pubblici essenziali quelli riferiti alla «protezione ambientale e vigilanza sui beni culturali», con particolare riferimento alla «custodia del patrimonio artistico, archeologico e monumentale». Lo stesso accordo stabilisce, inoltre, che in questo settore non possono comunque essere proclamati scioperi «nel mese di agosto, nei giorni dal 23 dicembre al 3 gennaio e nei giorni dal giovedì antecedente la Pasqua al martedì successivo», garantendo così l’accesso ai visitatori nei periodi connessi alle festività natalizie e pasquali, nonché durante la pausa estiva, in cui si concentra maggiormente l’afflusso di turisti.

Esiste dunque una specifica regolamentazione a livello di contrattazione collettiva che rende piuttosto inutile l’atto legislativo del Governo: se i servizi minimi garantiti non sono più ritenuti sufficienti occorre una nuova regolazione pattizia o della Commissione di Garanzia, mentre l’inclusione dei «musei e luoghi della cultura» potrà al più servire a coprire ambiti marginali scoperti come i musei privati. Non solo: considerare la fruizione del patrimonio artistico italiano un “servizio essenziale” indirettamente comporta un diritto in capo alla cittadinanza di godere di questo patrimonio. Lo Stato è quindi pronto ad aprire i suoi siti e a gestirli in modo efficiente perché tutti possano esercitare il diritto di visitarli?

Senza la capacità e il coraggio di immaginare un intervento ordinato su tutta la materia dei diritti sindacali, necessariamente da discutersi con quelle parti sociali che il Governo sembra mal sopportare, si continueranno a mettere “pezze legislative” a un tessuto, quello delle relazioni industriali e di lavoro, sempre più usurato.

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roma

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