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Israele potrebbe aver scelto l’ambiguità per rispondere all’attacco subito cinque giorni fa, quando l’Iran — usando all’opposto una mossa coreografica e telegrafata — aveva lanciato centinaia di missili e droni contro il territorio dello Stato ebraico come rappresaglia per lo schiaffo subito a Damasco (dove alcuni alti funzionari dei Pasdaran erano stati uccisi in un bombardamento contro l’ambasciata iraniana, probabilmente condotto dagli israeliani ma mai rivendicato).

Il gioco di ombre (e luci) in questo momento tesissimo potrebbe essere anche un metodo per evitare che la situazione scivoli verso derive incontrollate, con la Comunità internazionale — a iniziare dal G7 riunito con la ministeriale Esteri che si chiude in queste ore a Capri – che vuole evitare il caos.

Cosa è successo dunque? Attorno alle 5:29 di questa mattina, a Isfahan, nell’Iran centrale, ci sono state almeno tre esplosioni nei pressi di una base militare — ma non in quello che è uno dei principali impianti nucleari della Repubblica islamica. Contemporaneamente, altre esplosioni ci sarebbero state in Siria — nei governatorati di As Suwayda e Daraa, in basi dove gli iraniani condividono le difese aeree con le forze locali — e nei pressi di Baghdad e nella provincia di Babil. Ci sono molti rumors, molte informazioni anonime e zero conferme ufficiali per ora.

Funzionari americani dicono per esempio che è stato un attacco israeliano, di cui avevano ricevuto informazioni in anticipo, ma attenzione: dicono di aver avuto avviso che ci sarebbe stato nel giro di 24-48 ore, aggiungendo di aver ricevuto rassicurazioni che qualsiasi azione non avrebbe colpito gli impianti nucleari iraniani e restando un passo indietro su ogni genere di coinvolgimento.

Il contrattacco israeliano, se resta di queste dimensioni (e nelle prossime ore o giorni non si espande), permette all’Iran non solo di non reagire nuovamente — rischio che nessuno intende correre perché potenziale innesco di un’escalation verso una guerra regionale — ma anche addirittura di negare l’accaduto. I media del regime stanno infatti mostrando le immagini di una quotidiana normalità di Isfahan, a testimonianza che niente di preoccupante è successo.

Contemporaneamente, anche Israele avrebbe mandato una notifica alle ambasciate in giro per il mondo chiedendo di non commentare l’accaduto. Il senso è: parlandone poco si può considerare chiuso questo set di scambi di colpi? Sebbene la guerra nell’ombra continuerà, magari attraverso scambi di colpi con le milizie coordinate dai Pasdaran e con azioni puntuali condotte. Altro elemento non secondario: il sito colpito a Isfahan sarebbe la base di Shekary, infrastruttura dell’Artesh, ossia delle forze armate regolari, non dei Pasdaran. Una scelta per evitare ulteriori ritorsioni?

Gli esponenti della linea dura iraniana sono a questo punto davanti a un dilemma nella gestione, e non sorprende la linea per ora dettata del minimizzare, se non ignorare, l’accaduto. I Pasdaran e i reazionari iraniani potrebbero anche essere spinto all’invocare un’ulteriore contro-reazione, ma se Israele terrà al minimo la comunicazione pubblica, allora anche la Repubblica islamica potrebbe accettare la debolezza gestendola a livello propagandistico come debolezza altrui. Ossia, chiaramente non potendo ammettere che anche zone strategicamente ultra-sensibili come Isfahan possono cadere sotto i colpi israeliani, l’Iran dirà che lo stato ebraico ha provato a colpire ma non ci è riuscito. “La fonte straniera dell’incidente non è stata confermata. Non abbiamo ricevuto alcun attacco esterno e la discussione tende più all’infiltrazione che all’attacco”, ha detto il funzionario iraniano alla Reuters.

(Articolo in aggiornamento)

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