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Che oggi lo spartiacque fondamentale della politica italiana non sia più quello usuale tra la sinistra e la destra tradizionali, lo testimoniano la manifestazione che abbiamo visto sabato della scorsa settimana a Roma, al Teatro Quirino, di una sinistra che prova ad inseguire Beppe Grillo e quella che abbiamo visto invece a Bologna, in piazza Maggiore, di una destra incline ad inseguire Salvini.

Il fatto è che sta nascendo un bipolarismo diverso rispetto al passato. E’ da un pezzo che il vero discrimine è tra chi è convinto che la strategia migliore per uscire dalla crisi sia quella concordata con i nostri partner europei e chi invece ritiene che proprio questa strategia sia la rovina del Paese. In altre parole, tra chi vuole cogliere l’occasione offerta dalla crisi per innescare un processo di rapido allineamento dell’Italia ai migliori standard europei e chi pensa che questo progetto sia irrealizzabile, perché «in Italia queste cose non si possono fare».

Anche in Francia, del resto, Marine Le Pen sta diventando la pupilla di un fronte nero-rosso contro l’Europa, in nome della sovranità nazionale, e fa capolino l’idea di un partito della nazione guidato dai riformatori dei due campi. Anche lì, come ha scritto Giuliano Ferrara, «agiscono dei riformisti, anche generazionalmente connotati come “giovani” rispetto alla media, che credono possibile opporre al partito del sovranismo destra-sinistra, alleanza maligna e insidiosa come quella tra antipolitica grillina ed establishment pigro all’italiana, un “parti de la Nation” che dell’opposizione ideologica non sa che farsene».

Sia chiaro: la distinzione tra sinistra e destra non ha perso ogni significato. Ma non è questa la scelta più rilevante che la politica nazionale oggi è chiamata a compiere. In gioco è il sostegno alla strategia di integrazione dell’Italia nella UE, dal cui successo o insuccesso dipendono conseguenze enormemente più rilevanti per tutti. Non è un caso che proprio questa strategia costituisca il tratto comune ai programmi dei nostri ultimi tre Governi.

Due anni fa Pietro Ichino propose una riflessione su quello che sta accadendo nella politica italiana, accompagnata da una rappresentazione grafica, nella quale metteva a confronto lo spartiacque del bipolarismo tradizionale destra-sinistra con il discrimine corrispondente alle scelte di fondo che la politica italiana è chiamata oggi a compiere: pro o contro la “strategia europea dell’Italia”, fatta di riforme strutturali incisive utili anche per ottenere dall’UE politiche espansive. Rispetto a questo nuovo spartiacque, nella parte inferiore del diagramma, si vedevano schierati “contro” una metà del PdL, la Lega, il M5s, quasi tutta SEL e una piccola porzione del PD (quella rappresentata oggi dai Civati e dai Fassina); nella parte superiore, sul versante “pro” erano allineati quasi tutto il PD, tutta SC, l’altra metà del PdL e un pezzettino di SEL (Migliore e pochi altri).

Se ora confrontiamo la parte superiore di quel diagramma con il nuovo “polo” (più ampio di quanto non riesca a essere almeno per ora il PD) che si sta aggregando intorno a Renzi (si è parlato di Partito della nazione, partito Leopolda, di PD new look, di catch-all party, di “Big tent”, ma il succo è lo stesso), e compariamo la parte inferiore del diagramma con l’insieme delle forze politiche che oggi sono all’opposizione del Governo Renzi, vedremo che la coincidenza è impressionante. Si sta verificando (salvo un netto ridimensionamento complessivo dell’area occupata dal PdL e la sua parziale trasformazione nel NCD di Alfano) ciò che Pietro Ichino prevedeva in quel grafico.

Insomma, come dimostrano la vicenda greca, quella inglese, quella spagnola, la scelta fondamentale oggi è quella che si compie rispetto a questo spartiacque, che non è più quello sul quale si è strutturata la politica dal dopoguerra. Questo è il nuovo bipolarismo che è destinato probabilmente a caratterizzare gli anni che verranno e conviene prenderne atto.

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GIORGIA MELONI, MATTEO SALVINI

Sta nascendo un nuovo bipolarismo in Italia?

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