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I soldi sono tanti, i progetti pure. 30 miliardi di euro per avviare 60 interventi nel campo delle infrastrutture e delle tlc, generando così la bellezza di 300 miliardi di investimenti in tutta Europa. E’ il piano Juncker, l’operazione sul larga scala messa a punto dall’Ue per rimettere in moto l’economia e il lavoro nel Vecchio Continente e finita, tanto per cambiare, nell’orbita della Germania, impossessatasi delle poltrone chiave del Feis, il braccio operativo del piano Juncker. Ma tra il dire e il fare, si sa, c’è di mezzo il mare. E anche il piano Juncker, per essere avviato e portare beneficio all’economia reale, dovrà dribblare una serie di ostacoli.

PUBBLICO E PRIVATO ANCORA (POCO) AMICI

Il punto sul piano da 300 miliardi è stato fatto ieri mattina nel corso di un convegno organizzato presso la rappresentanza Ue in Italia, a Roma e che ha evidenziato alcune criticità tipiche del Sistema Italia, che potrebbero frenare se non annacquare gli effetti degli investimenti. Tra queste, evidenziati in uno studio curato dal portale Fasi e presentato per l’occasione, il difficile rapporto tra pubblico e privato, che troppo spesso parlano lingue diverse, mancando così quell’obiettivo chiamato partenariato pubblico-privato, essenziale per sfruttare al meglio i fondi europei, dal momento che la filosofia del piano prevede proprio lo stimolo dell’intervento dei privati, affiancati dalla Pa. Dall’analisi emerge come troppo spesso i tempi per l’affidamento dei contratti sono troppo lunghi, con conseguente abbandono del progetto da parte dei privati. Poi ci sono i problemi finanziari, ovvero l’individuazione delle risorse necessarie alla realizzazione dell’opera, che spesso e volentieri risulta lacunosa. Sullo sfondo, un quadro normativo complesso incerto. Troppi nodi per un Paese che il prossimo anno riceverà dall’Ue, sotto forma di investimenti, circa 1 miliardo di investimenti.

IL RUOLO DELLA CASSA DEPOSITI E PRESTITI

Un ruolo importante lo giocherà per l’Italia la Cassa Depositi e Prestiti, che la scorsa primavera ha annunciato il suo impegno diretto con un contributo di 8 miliardi di euro. Via Goito assumerà in particolare il ruolo di ponte tra Italia e le risorse del piano Juncker. Ma anche in questo caso sorgono delle ombre. Che stavolta si allungano dal Senato, più precisamente dai tecnici di Palazzo Madama. Secondo gli esperti del Senato, gli 8 miliardi messi sul piatto come contributo al piano Juncker sono depositati presso la Tesoreria Centrale dello Stato e qualora li si vogliano utilizzare per finanziare questo o quell’intervento, dicono i tecnici, bisognerà rimpiazzare i fondi con altri denari. Che potrebbero essere presi facendo nuovo debito pubblico. Insomma, per farla breve, non è ancora molto chiaro il meccanismo di impiego dei fondi da destinare agli investimenti. A sgombrare il campo dagli equivoci ci ha pensato però Bernardo Bini Smaghi, responsabile business development della Cdp e presidente F2i, he intervenendo al convegno ha precisato come gli otto miliardi di risorse “non saranno debito pubblico”.

L’OTTIMISMO DEL MEF E IL VIA ALLA SELEZIONE DEI PRIMI PROGETTI

Sul piano Juncker intanto, dal Ministero dell’Economia trapela un certo ottimismo. Per Stefano Scalera, consigliere del Tesoro, anch’esso presente al convegno, “il piano avanza veloce, non è fermo come dice qualcuno. I paesi, compresa l’Italia, stanno presentando i loro progetti: stiamo lavorando prevalentemente su energia, infrastrutture, trasporti, digitale e pmi”. Giusto in tempo per far pervenire le proposte al comitato di esperti in via di formazione a Bruxelles, incaricata di selezionare i progetti destinatari delle risorse.

Piano Juncker, ecco piccoli e grandi ostacoli

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