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Tra l’unica superpotenza mondiale e il gigante che ha cambiato le regole della globalizzazione non corre sempre buon sangue. Ma l’attenzione riservata, ad ogni latitudine, alla due giorni di dialogo strategico ed economico tra la Cina e gli Usa iniziata oggi, la dice lunga su quelli che saranno gli equilibri geopolitici dei decenni a venire.

I NUMERI DEL SUMMIT

Sono circa 400 gli esponenti di Pechino – tra i quali il consigliere di Stato, Yang Jiechi, e il vice primo ministro, Wang Yang – volati a Washington per i colloqui annuali ospitati dal vicepresidente Joe Biden, dal segretario di stato John Kerry e dal segretario al Tesoro Jacob Lew.

LE TENSIONI CYBER

Molti i dossier caldi, sul progresso dei quali – svela il New York Times – gli Usa ripongono basse aspettative. Oltre all’annoso problema del rispetto dei diritti umani, in cima sul tavolo ci sono i crescenti cyber attacchi, attribuiti sempre più spesso ad hacker di Pechino. Una posizione già evidenziata nella National Security Strategy presentata il 6 febbraio 2015 alla Brookings Institution dal National Security Advisor, Susan Rice, nella quale si dichiarava per la prima volta in modo chiaro che l’aggressività cinese in campo informatico è fonte di pericolo per gli Stati Uniti. E poi le dispute marittime del Mar cinese meridionale. Nel primo caso Washington invita la Cina a “sedersi a un tavolo per scrivere le regole del cyberspazio”.

UN MARE IMPETUOSO

Nel secondo, invece, la Repubblica popolare non solo rivendica delle zone che appartengono ad altri Stati, ma vi sta costruendo degli isolotti artificiali. Un atteggiamento che inquieta i tanti alleati Usa nella regione, a cominciare dal Giappone di Abe. Ma il mare, avverte la Casa Bianca, deve rimanere “aperto e protetto” per mantenere sicure le rotte commerciali. “Le nazioni che scartano la diplomazia e usano la coercizione e l’intimidazione per risolvere le dispute, o chiudono un occhio all’aggressione portata da altri, provocano solo instabilità”.

I TEMI ECONOMICI

C’è poi il capitolo economico: le restrizioni a cui sarebbe ancora soggetto il mercato interno di Pechino, il valore della valuta cinese, il renminbi, ancora sottovalutato a detta di molti economisti d’Oltreoceano, e le problematiche vissute dalle aziende americane che operano in Cina, sempre più critiche nei confronti delle disparità di trattamento con i competitor locali..

I PUNTI DI CONTATTO

Difficile giungere in tempi brevi a un accordo su questi temi, ma ci sono anche dossier sui quali Pechino e Washington si parlano in modo sempre più fitto e con buon risultati. Biden lo ha ribadito: secondo la Casa Bianca, la Cina dovrebbe partecipare a tutte le più importanti negoziazioni globali e, nonostante non sia passato sopra le differenze – il rapporto tra i due Paesi, ha detto, è “complicato” – ha lodato la Cina come “partner” su molte questioni, dai negoziati sul nucleare iraniano alla lotta contro il cambiamento climatico. Sono queste, secondo molti osservatori, le fondamenta sulle quali edificare un nuovo rapporto sino-americano. D’altronde Biden non le ha mandate a dire. Ha riconosciuto la forza economica di Pechino, la cui concorrenza “ha svegliato” gli Stati Uniti, e al tempo stesso ha specificato che Washington “non ha paura della crescita della Cina”. Ma, ha aggiunto, “vogliamo vederla crescere in modo responsabile”.

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