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Ignazio Marino a volte sembra un marziano. È il sindaco di Roma, ma anche no. È sovente altrove, anche solo mentalmente, quando a Roma succede di tutto e di più.

Beninteso, fare il sindaco è il mestiere più difficile che ci sia. A maggior ragione nella capitale. Ma le ultime sortite del primo cittadino di Roma non convincono troppo.

Nel giorno della seconda ondata di arresti di politici, dirigenti comunali e cooperatori, Marino ha sentenziato: “E’ un giorno di festa per me e per Roma, finalmente ci liberiamo di questi malfattori”. Ohibò, con un colpo ha rottamato decenni di garantismo sbandierato da quella parte della sinistra politica che non si è accodata al giustizialismo, e con un altro colpo ha voluto far passare per una festa un giorno di lutto per il Pd e per Roma.

Ma il pensiero del sindaco, rispetto ai rapporti con il suo partito e con gli esponenti del Pd, è stato più chiaro il giorno dopo, quando ha rimarcato che fra gli arrestati non c’era alcun componente della giunta municipale. A chi gli faceva notare che fino a qualche giorno prima degli arresti Daniele Ozzimo era assessore alla Casa della sua giunta, Marino ha detto in tv: Ozzimo era stato indicato dal Pd. Come dire: non l’avevo scelto io, ma quegli infidi birbanti del Partito democratico.

La dichiarazione, efficace dal punto di vista mediatico, ha però due corollari. Il primo è che indica quanta poca autonomia ha avuto Marino nella scelta degli assessori, visto che ne ha nominati alcuni senza sapere nulla di loro, anzi quasi sospettando che non fossero il meglio possibile.

Il secondo corollario è quello di dare implicitamente la patente di inaffidabili, pasticcioni e arraffoni agli esponenti del Pd che gli avevano intimato di nominare questo o quell’assessore.

Non è la prima volta che Marino su questa vicenda fa il marziano. È successo quando fu arrestato Salvatore Buzzi, dominus della cooperativa 29 giugno, quello che con i migranti si fanno più soldi che con la droga: Marino cascò dal pero dicendo di non conoscerlo e di non sapere neppure che facesse. Poi sbucarono le foto di Marino che in campagna elettorale andò a far visita a Buzzi nella sede della 29 giugno, i contributi da 30mila euro della stessa cooperativa alla campagna di Marino e gli affitti a prezzo modico di immobili comunali a cooperative della galassia 29 giugno.

Ma di marziani, in questa vicenda, ce ne sono molti. Anche nel Pd, il partito che da sempre ha vantato una superiorità morale nella gestione della cosa pubblica e nella selezione della classe dirigente. Evidentemente gli slogan e gli autocompiacimenti non bastano. E non è sufficiente gongolarsi – come pure si sente dire in questi giorni come un ritornello – che gli unici accusati di “mafia” (416 bis) siano due esponenti di centrodestra, come Luca Gramazio (Forza Italia) e Gianni Alemanno (già Pdl, ora Fratelli d’Italia-An). Si vuol forse dire che l’operazione giudiziaria ribattezzata Mafia Capitale dalla Procura di Roma è una definizione grossolana?

Ignazio Marino e i marziani a Roma

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