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Non bisogna arretrare di un millimetro nella messa a reddito dei beni confiscati alla Russia. Tra i 200 e i 300 miliardi di dollari, tutti o quasi strappati e sigillati alla Banca centrale. Mentre l’Europa cerca ancora una via sicura per monetizzare senza conseguenze per se stessa gli asset sequestrati al Cremlino, il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky torna a suonare la carica, a poche ore dalla telefonata con il premier italiano, Giorgia Meloni. E lo fa via X.

“I beni russi attualmente congelati all’estero ammontano a circa 300 miliardi di dollari. Devono essere utilizzati a sostegno dell’Ucraina”, ha scritto sul proprio profilo il leader ucraino. “Questa è un’opportunità storica per far pagare allo Stato terrorista il suo terrore. L’élite e la leadership russa non si preoccupano delle vite umane, ma tengono al denaro più di ogni altra cosa. Per loro, la perdita di beni sarà la perdita più dolorosa. Percepiranno la vera forza della comunità internazionale e vedranno che il mondo è più forte del terrore”.

Secondo Zelensky “la decisione di utilizzare i beni russi congelati per sostenere l’Ucraina sarà una risposta assolutamente giusta e legittima all’aggressione della Russia contro l’Ucraina. Invierà il giusto messaggio a tutti gli aspiranti aggressori nel mondo: attaccare un altro Stato non paga, ma fa pagare l’aggressore. Incoraggio i partner a muoversi rapidamente sui quadri giuridici pertinenti. Quest’anno dobbiamo compiere progressi tangibili verso l’utilizzo dei beni russi congelati a beneficio dell’Ucraina. Su questo tema contiamo fermamente sulla leadership del G7”.

Un messaggio anche all’Italia, che si appresta ad assumere la presidenza del G7. Ma non è così facile trasformare in quattrini i beni di Mosca. Non sono pochi gli economisti e gli esperti che nutrono dubbi sulla reale vantaggiosità dell’operazione. Tra questi, Nicolas Mulder, economista e docente alla Cornell University (New York) e autore del recente volume su tutte le sanzioni comminate nel mondo a partire dalla Prima guerra mondiale, The Economic Weapon).

Il quale, dopo aver sollevato dubbi circa l’opportunità per l’Ue di interrompere del tutto gli acquisti di gas russo lo scorso anno, spiegando come l’efficacia delle sanzioni non si misura sul malessere da esse imposto sull’avversario, bensì sulla loro attitudine ad avvicinarci alla pace, dalle colonne del Financial Times mette in dubbio un altro caposaldo della strategia europea per mettere alle corde Mosca. Tacciandola di essere persino controproducente.

“La campagna occidentale di pressione economica contro la Russia si sta spingendo in un nuovo ambito: il sequestro dei beni sovrani. A marzo 2022, gli Stati Uniti e l’Unione europea avevano congelato circa 300 miliardi di dollari di riserve della banca centrale russa per ritorsione contro l’invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin. Ora i Paesi del G7 stanno discutendo se confiscare e liquidare questi beni”, premette Mulder.

Ma ecco il punto. “Tuttavia, sulla confisca dei beni statali russi, sorgono alcuni problemi: manca un effetto coercitivo, che viene invocato dalle parti sbagliate e mina l’ordine basato sulle regole che i governi occidentali affermano di difendere. La spinta alla confisca dei beni è dettata dalle difficoltà politiche interne di garantire finanziamenti a lungo termine a Kiev. Come strumento di pressione, la sua utilità è minima. La confisca di riserve non costringerà Putin a porre fine alla sua guerra. Inoltre, l’avanzo delle partite correnti di 227 miliardi di dollari registrato dalla Russia nel 2022 ha reintegrato una parte sostanziale delle riserve”.

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