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In questo fine settimana, la saga greca dovrebbe giungere a conclusione. O quanto meno, effettuare una svolta. Le parole del managing director del Fondo monetario internazionale (Fmi), Christine Largarde, devono essere meditate con cura. Non sarebbe affatto la prima volta se uno dei membri di un’unione monetaria la lascia oppure ne viene cacciato, nonostante il trattato istitutivo dell’unione medesima, o i suoi statuti, la dichiarino ‘irreversibile’. Quando le politiche dei vari “soci” divergono eccessivamente, la corda che li lega nell’unione monetaria prima o poi si spezza.

La rottura della corda comporta necessariamente un “contagio”? Casi degli ultimi cinquanta anni mostrano che gli esiti possono essere molto differenti. Nel novembre 1967, ad esempio, la rottura del patto implicito tra Bank of England e gli altri portò alla morte dell’area della sterlina in poche ore. Analogamente, nel 1975, la fine dell’unione monetaria dell’Africa orientale ebbe conseguenze in una zona molto vasta, Africa australe inclusa. Più o meno nello stesso periodo, la secessione del Madagascar dalla Comunità Finanziaria Franco-Africana (che aveva una moneta unica) non lasciò nessun ferito sul campo. Una decina di anni prima, Singapore sbatté la porta dell’unione monetaria della Malesia (e si diede una Costituzione in cui vietava l’istituzione di una banca centrale) e pochi ne soffrirono.

Quindi molto dipende da circostanze quali il grado di integrazione e la convergenza (o meno) delle politiche economiche. Sugli effetti di un’uscita (volente o nolente) della Grecia dall’unione monetaria europea, molto si è scritto e si è detto. Toccherebbe certamente le tasche degli italiani (se non rimborsa, o perché non può oppure perché non vuole, il Tesoro i 40 miliardi di euro di prestiti concessi dall’Italia), tuttavia, non è affatto certo che sposti la speculazione internazionale verso i nostri titoli di Stato.

Il ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, è uno studioso di economia internazionale. Afferma che l’Italia è “in sicurezza”. La letteratura scientifica recente gli dà tutto sommato ragione.

Ad esempio, è uscito in questi giorni in lavoro di Theodore Bratis, Giorgio Kouretas (ambedue dell’Università di Atene) e di Nikoforos Laopolis (Università di Faifield) Systemic Risk and Financial Market Contagion- Bank and Sovereign Credit Markets in the Eurozone. Lo studio esamina in dettaglio lo spread dei Credit Default Swaps sia dei titoli bancari sia nel debito sovrano nell’eurozona tanto tra mercati quanto tra Paesi e conclude che i casi di contagio (dal 2008) sono stati molti rari.

A conclusioni analoghe giungono due studi differenti in approccio e metodologia ma che contengono indicazioni per le autorità bancarie centrali (nel caso specifico, la Banca centrale europea, Bce).

Il primo è un CEPR Discussion Papewr (il No. DP10609- In Fulfilliing Debt Crisis Can Monetary Policy Really Help?) e ne sono autori Philippe Bacchetta e Elena Perazzi (ambedue dell’Università di Losanna) e Eric Van Wincoop (Università della Virginia). Il secondo è un lavoro del servizio studi della Banca centrale francese: ne è autore un economista dell’istituto François Koulischer (Banque de France N0. 554- Asymmetric Shocks in a Currency Union . The Role of Central Bank Collateral Policy). In parole povere, i due studi, seguendo percorsi differenti, giungono alla stessa conclusione: la Bce deve tenere i nervi saldi e non fare mancare ossigeno al resto del sistema.

La Grecia è contagiosa?

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