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È un vero pasticciaccio quello delle intercettazioni pubblicate dal Fatto Quotidiano. E non solo perché Matteo Renzi definisce “incapace” Enrico Letta ma, forse anche per questo, all’altezza di fare il presidente della Repubblica; evidentemente il premier non ha una grande considerazione degli inquilini del Quirinale.

Il pasticciaccio è tale per almeno 5 ragioni.

Ci si straccia le vesti e ci si indigna per la pubblicazione delle intercettazioni. Eppure questi origliamenti col timbro dei pm sono stati depositati e sono a disposizione degli avvocati visto che l’inchiesta sulla cooperativa Cpl si è conclusa. Lo scandalo, se tale vogliamo definirlo, non è la pubblicazione ma l’inserimento di trascrizioni di intercettazioni senza alcun rilievo penale ma dal sicuro svillaneggiamento mediatico. Su questo tema garantista il notista politico di lungo corso Francesco Damato, firma di punta di Formiche.net, ha notato un silenzio assordante di Renzi; un atteggiamento che al di là di qualche sbuffo verso i magistrati cela con tutta probabilità timori per iniziative giudiziarie in ballo? Renzi, comunque, dice: “Niente stretta sulle intercettazioni”.

Va poi fatta un’osservazione, visto il percorso delle registrazioni giudiziarie della telefonata di Renzi e Adinolfi e delle intercettazioni vocali riguardanti i giudizi su Napolitano, il figlio e il comandante generale della Guardia di Finanza, prorogato di due anni dal governo Renzi tra le proteste di Adinolfi, che aspirava alla nomina.

Com’è possibile che il sistema giudiziario permetta che un’indagine nata a Napoli, con tanto di intercettazioni telefoniche e ambientali, si sviluppi in modo tale che i documenti passino fra tre Procure  – Napoli, Roma e Modena – senza che nessuna possa essere alla fine individuata come la responsabile dei loro deposito e dell’arrivo, tramite gli avvocati, a un giornale obbligato a quel punto a darne notizia perché le notizie in effetti ci sono, per quanto non penalmente rilevanti ai fini delle inchieste, conclusesi con l’archiviazione? Insomma, al pasticciaccio politico se ne aggiunge uno ancora più grave di carattere giudiziario, di cui si può in partenza prevedere che non risponderà nessuno.

D’accordo – si dirà tornando al pasticciaccio politico – comunque quello che Renzi dice di Letta lui lo pensa davvero, tanto che il premier – secondo la ricostruzione di ieri di Repubblica – avrebbe detto: “Quelle telefonate dimostrano che io in privato parlo come faccio in pubblico. Non nascondo quello che penso”. Dunque evviva la sincerità? Michele Magno, nell’arguto Bloc Notes su Formiche.net, ha scritto: Diciamoci la verità: il premier (all’epoca della telefonata solo segretario del partito) non ci fa una bella figura, quanto a stile politico e compostezza istituzionale. Non oso pensare alla reazione di Giorgio Napolitano, soprattutto quando ha saputo che veniva appellato con uno sprezzante “quello lì”.

Ma se i giornali si concentrano sulla cordiale disistima tra Renzi e Letta, c’è un aspetto istituzionale ancor più deprimente. La profonda inimicizia – eufemismo – che emerge tra il numero uno e il numero due della Guardia di Finanza non è solo motivo di imbarazzo per le Fiamme Gialle. Ha scritto Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano: “Resta da capire come possano ora Capolupo e Adinolfi convivere sulle due poltrone più altre della Guardia di Finanza, visto che il secondo acchiappava il primo di aver ottenuto la carica con un’estorsione, anzi una concussione ai danni degli allora presidenti della Repubblica e del Consiglio”.

Infine, ma non per ultimo. Le conversazioni e le frequentazioni amichevoli, da compagni di bisbocce, tra Renzi, Dario Nardella e il generale della GdF, Michele Adinolfi, assumono un rilievo desolante se si pensa che Adinolfi all’epoca delle intercettazioni era il comandante interregionale della Guardia di Finanza per l’Italia Centro-Settentrionale, quindi anche della Toscana, dunque anche di Firenze. È normale, fisiologico, un tipo di frequentazioni così amicali? Qualche risposta la fornisce il blogger di Formiche.net, Alfredo Ferrante, dirigente ministeriale: “C’è un Generale della Guardia di Finanza, candidato a guidare un fondamentale corpo di polizia di questo Paese, che parla con segretari di partito, ministri e politici non già di affari che concernono il suo mandato, nel qual caso l’unico referente diretto non potrebbe che essere il Ministro dell’Economia e delle Finanze. Ma – almeno a leggere quanto riportano i giornali – discetta di ribaltoni, di candidature alla Presidenza della Repubblica, di nomine di vertice, addirittura di indagini che lo hanno coinvolto (e che pure lo hanno visto riconosciuto estraneo ai fatti). In altre parole, colpisce che sia del tutto assente quella seppur minima distanza sanitaria opportuna – anzi, necessaria – tra sfera politica e sfera esecutiva che dovrebbe regolare una sana dinamica dei poteri pubblici”.

Non si osa neppure immaginare quale putiferio si sarebbe scatenato tra appelli di intellettuali, girotondi indignati, manifestazioni di protesta e toste campagne di stampa – lette le conversazioni tra il premier e il generale delle Fiamme Gialle – se al posto di Renzi ci fosse stato Berlusconi.

Renzi, Letta e Adinolfi. Il pasticciaccio è servito

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