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Si sente pronto a guidare l’America, che è “su una strada sbagliata”: parlando in inglese e spagnolo, promette 19 milioni di posti di lavoro, la sicurezza energetica fra 5 anni, rapporti con Cuba ‘normalizzati’ (ma solo se il popolo sarà libero). Con un messaggio di ottimismo, e un’affermazione di leadership, Jeb Bush s’è ufficialmente candidato alla nomination repubblicana per Usa 2016: l’ex governatore della Florida, figlio e fratello rispettivamente del 41° e 43° presidente Usa, ne ha dato l’annuncio al Miami Dade College, dopo gli adempimenti formali alla commissione elettorale.

“Sono certo – afferma – che possiamo rendere i prossimi decenni dell’America i migliori mai vissuti in questo Mondo”. Ma le proteste dei migranti a tratti lo interrompono.

Con Jeb, i candidati alla nomination repubblicana per Usa 2016 sono 11 e possono diventare subito una dozzina, con l’eccentrico miliardario Donald Trump, con la prospettiva di salire fino a 15. Quelli democratici sono solo tre: Hillary Rodham Clinton, l’ex first lady, non ha praticamente rivali nel suo campo.

Nonostante la ressa in campo repubblicano, la corsa alla Casa Bianca assume sempre più l’aspetto di uno scontro fra “dinastie” americane: è infatti possibile, anzi probabile, dicono per ora i sondaggi, che il match finale sia Bush contro Clinton, come nel 1992 (allora George Bush contro Bill Clinton; oggi Jeb, il figlio, contro Hillary, la moglie).

Il terzo Bush deve però preoccuparsi della concorrenza di Marco Rubio, senatore della Florida d’origini cubane: la corsa alla nomination repubblicana potrebbe così ridursi a un derby del Sunshine State. Rubio, 44 anni, è stato molto cavalleresco con il rivale, che, a 62 anni, gli è quasi stato maestro in politica, sottolineando l’amicizia che li lega.

Il logo della campagna di Bush, con la scritta “Jeb!” in grandi lettere rosse su sfondo bianco e 2016 in piccolo con numeri blu, fa discutere per la mancanza del cognome, quasi che l’ex governatore, voglia smarcarsi da un’eredità pesante, specie quella del fratello. Il papà, invece, non lo imbarazza: prima dell’annuncio, gli ha telefonato e lo ha fatto sapere.

Jeb, reduce da un viaggio in Europa, Germania, Polonia, Estonia, aveva lanciato domenica il conto alla rovescia del suo annuncio. Ora, s’impegna a “offrire alternative” e ad essere “concreto” e riserva un po’ d’ironia ad Hillary che fino a sabato s’era limitata ad “ascoltare” la gente d’America, prima del bagno di folla con comizio a Roosevelt Island a New York.

Lui pensa di avere le risposte e denuncia “la cappa di Washington” che pesa sull’Unione, assicurando: “Io sarò il presidente di tutti, non di un club”. Di sicuro, di una famiglia.

Bush-Clinton, con Jeb in campo è scontro fra dinastie

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