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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori pubblichiamo un estratto dell’articolo di Manuel Follis apparso ieri sul quotidiano Italia Oggi

ChemChina è un colosso da 244 miliardi di yuan di fatturato (circa 36 miliardi di euro), al 19esimo posto tra le big mondiali della Cina e al 355esimo nella classifica 500 di Fortune.

Si tratta di un’azienda statale nata nel 2004, guidata da Ren Jianxin e controllata dalla Sasac, il braccio del governo di Pechino cui fanno capo buona parte delle industrie di Stato cinesi.

L’azienda opera in sei diversi settori, che vanno dalla chimica dei nuovi materiali alla gomma (tyre, appunto), ed è presente in 140 Paesi con 118 controllate, tra cui nove quotate, 6 divisioni e 24 centri di ricerca, con 140 mila dipendenti.

Da quando ChemChina ha intrapreso un cammino di crescita globale, la strategia ha comportato una serie di acquisizioni all’estero. Dall’Europa all’Australia, ChemChina ha fatto parecchio shopping negli ultimi anni: tra le operazioni più importanti, l’acquisizione della francese Adisseo e dell’australiana Qenos (rispettivamente nel 2005 e nel 2011), l’acquisto della norvegese Elkem e di una quota di controllo nell’israeliana Makhteshim Agan, sesto produttore mondiale di pesticidi.

Adesso invece è il turno di Pirelli. L’obiettivo dichiarato, però, è «integrare le culture delle aziende acquisite, valorizzando le rispettive peculiarità industriali e senza atteggiamenti ostili».

Un messaggio rassicurante che rende verosimili le indiscrezioni secondo cui la governance e i patti della nuova Pirelli garantirebbero che il controllo rimanga nelle mani dell’attuale presidente Tronchetti Provera, almeno per i prossimi anni. Un aspetto non secondario, visto che i primi interventi politici sul tema hanno avuto come obiettivo proprio la difesa dell’italianità dell’azienda.

L’ingresso dei cinesi consentirà prima ai soci di Camfin e successivamente con il lancio dell’offerta a tutti gli azionisti Pirelli di monetizzare la propria partecipazione al prezzo di 15 euro. Oltre a Rosneft, che ha il 50% di Camfin, gli altri soci sono Nuove Partecipazioni (Tronchetti Provera e altri), Intesa Sanpaolo e Unicredit.

Uno degli aspetti singolari della vicenda è il passaggio di una società italiana dai russi ai cinesi, così come sembra stia avvenendo nella telefonia. Nel caso specifico sarà Rosneft a beneficiare della liquidità di ChemChina (vendendo a 15 euro azioni comprate a 12, con un guadagno del 25%), mentre qualora effettivamente Wind finisse per unirsi in matrimonio con 3 Italia e H3G finisse per avere la maggioranza assoluta del nuovo operatore, sarebbe Vimpelcom (russa) a incassare liquidità da parte di Hutchison Whampoa. «Noi siamo felicissimi di collaborare con la Cina su tutti i formati», è stato il commento del ministro dell’Industria e del Commercio russo Denis Manturov. Tra i dettagli dell’operazione ci sono la cosiddetta «garanzia di italianità» visto che come si legge nel comunicato «gli accordi siglati prevedono maggioranze rafforzate pari al 90% del capitale sociale per autorizzare lo spostamento della sede e il trasferimento a terzi della proprietà intellettuale di Pirelli».

Pirelli, ecco chi sono i cinesi che sgommeranno con Tronchetti Provera

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