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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Prima di tutto, vediamo i dati tecnici del nucleare iraniano, o almeno come si possono studiare attraverso i documenti delle agenzie internazionali deputate al controllo del potenziale atomico globale. L’Iran, secondo l’accordo (che è una “comprehension”, nemmeno un vero e proprio accordo internazionale) raggiunto a Losanna tra Teheran e il P5+1, ha accettato di ridurre le centrifughe di prima generazione operanti a Natanz fino al numero di 6104, con una quota massima di centrifughe attive di 5060.

A Natanz operano in tutto 15320 centrifughe. Le centrifughe di seconda generazione sempre a Natanz, che sono 1008, saranno rimosse.
Ma le centrifughe messe da parte rimarranno, secondo il quasi-accordo, in Iran, monitorate dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea), e quindi, tra una missione e l’altra dell’Agenzia viennese, basterà rimetterle in funzione senza fare troppo rumore.
Non si sa come e quanto l’Iran cesserà di produrre centrifughe nucleari, il quasi-accordo non lo specifica, ma le tecnologie, come le armi, non si “disinventano”, e sembra improbabile che Teheran possa cessare di sapere come si fa a costruire una centrifuga per il nucleare.
Oppure, come oggi accade, potrebbe costruire centrifughe o centrali nucleari militari-civili (e il nucleare militare è meno “grosso” di quello civile, malgrado la gente creda il contrario) nella sua fascia sciita esterna ai confini: lo Yemen, dove Teheran costruirà una centrale energetica, o l’Iraq, dove nell’area di Qom l’Iran costruisce una nuova grande centrale.

L’uranio arricchito a basso tasso di isotopi già prodotto è, in Iran, di circa 10mila chilogrammi.
L’Iran ha peraltro accettato, nei dibattiti di Losanna, di ridurre a 300 chili la quantità di uranio arricchito stoccato nel Paese, una quantità che non è sufficiente a produrre una bomba nucleare.
Ma si può sempre utilizzare, se l’uranio arricchito viene stoccato in Paesi amici, tutto il resto del materiale nucleare. Non si specifica nemmeno se, come sarebbe doveroso, su questo materiale vi saranno specifiche “missioni” ispettive della Iaea.
Di per sé, il resto del materiale potrebbe dar luogo alla produzione di ben sette bombe A, e se il materiale rimane in forma diluita (gassosa) in Iran, la questione cambia di poco. Ed è solo un problema di tempo.

Il Joint Statement di Losanna, ancora, permette la ricerca e la sperimentazione delle centrifughe nucleari evolute, in Iran, che ormai, se Teheran mostrasse buona volontà su questo quasi-accordo, sarebbero semplicemente inutili.
L’Iran vuol venderle all’estero? Ma chi comprerebbe le centrifughe di uno Stato non più nucleare? Qui, come abbiamo sopra notato, l’ambiguità concettuale (e logica) regna sovrana.
Il centro di Fordow, segreto per molti anni e costruito dentro una montagna, è un caso ancora più complesso della centrale di Natanz. Oggi ospita 2710 centrifughe di prima generazione, di cui 696 operanti.
Secondo il quasi-accordo, l’Iran trasformerà Fordow in un centro di ricerche, con sole 1000 centrifughe disponibili.
Secondo il quasi-testo di Losanna, Fordow non arricchirà uranio per almeno 15 anni ma, allora, che cosa potranno mai ricercare? Anche qui, come spesso accade, i paradossi logici implicano inganni politici.

Fra l’altro, tra 15 anni l’Iran potrebbe rimettere in funzione Fordow senza colpo ferire e senza che nessuno, tra i P5+1, possa dire alcunché.
Il reattore per la produzione di plutonio di Arak sarà gestito, sempre secondo il quasi-accordo di Losanna, da una Joint Venture internazionale. Non si cita né il come, né il dove, né il quanto e comunque, il plutonio, prodotto dalla Joint Venture o da chiunque altro, rimane in Iran, e vedo improbabile che Teheran permetta passaggi di plutonio a Paesi e organizzazioni non gradite al regime sciita.
Se non è zuppa, è pan bagnato. Sembra che tutto il quasi-accordo di Losanna sia stato elaborato a partire dall’ingenua e positiva valutazione del regime iraniano che si trova in un recente volume, “Going To Tehran, Why America must accept the Islamic Republic of Iran”, uscito nel 2003 e scritto da Flynt e Hillary Leverett.

Chi lo legga, scoprirà che i due autori, collaboratori di “Foreign Policy”, ritengono l’Iran attuale “democratico” perché vi si svolgono regolarmente le elezioni, un criterio piuttosto ingenuo, e che l’economia di quel Paese sia “vibrant”, altro grosso abbaglio.
Ritorniamo ad Arak: il combustibile “spento” della struttura iraniana verrà spedito all’estero. Ma comunque la struttura rimane un reattore nucleare, sia pure in forma ridotta. Sembra ormai chiaro che Teheran vuole comprare tempo, con questo quasi-accordo, per poi uscire con un suo nuovo sistema di arricchimento nucleare sul quale il P5+1 no potrà più fiatare, mentre le sanzioni economiche allentate permetteranno all’Iran investimenti maggiori nel suo apparato militare missilistico e convenzionale, che sarà poi il vettore della minaccia nucleare quando il quasi-accordo di Losanna sarà scaduto o denunciato da una delle parti.

Ammesso e non concesso che l’Iran non giochi sporco, a quel punto chi sarà in grado di gestire la minaccia? Con quale contromossa? E, se si esclude l’azione militare, non si vede cos’altro possa fare l’Occidente, salvo emanare grida manzoniane.
Il nesso che il quasi-accordo stabilisce tra l’abbandono delle sanzioni occidentali e la prima ispezione della Iaea ci fa pensare che Teheran farà la furba, un po’ come faceva Saddam Hussein con le sue armi chimiche, spostate da una parte all’altra del deserto dai suoi Servizi mentre gli uomini dell’ingenuo Hans Blix facevano i turisti.

Infine, il passaggio di tutto l’accordo, si spera un pochino più preciso, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dove fra i cinque membri permanenti, Russia, Cina, Usa, Francia, Regno Unito ci sono due amici dell’Iran (Russia e Cina), due Paesi che non vogliono far naufragare il quasi-accordo (Usa e Gran Bretagna) e la Francia, che venderà a Teheran le sue tecnologie nucleari più avanzate.
Tra i membri non permanenti, ci sono alcuni che saranno a favore di un accordo con l’Iran che crei il presupposto di un loro programma nucleare civile-militare: l’Angola, la Malesia, la Giordania, la Nigeria e il Ciad non aspettano altro che si crei il “precedente” per poter fare il loro nucleare. La Nuova Zelanda, la Lituania, il Cile, la Spagna e il Venezuela sosterranno con ogni probabilità la politica del P5+1 e del suo quasi-accordo di Losanna.

Chi lo voglia potrebbe il suo arsenale nucleare, magari facendolo passare per “ricerca medica” o come una tecnologia per far venire più grossi e rossi i pomodori, secondo la vecchia propaganda di Teheran.
E siccome, come ci hanno insegnato gli straordinari maestri della dottrina nucleare francese, Beaufre e Ailleret, il nucleare può essere anche una minaccia “da debole a forte”, avremo come risultato che, nel Grande Medio Oriente e altrove, i nostri interessi non saranno più tutelati da alcuno.

Non è quindi irrazionale la forte opposizione israeliana al quasi-accordo di Losanna e non sarà certo improbabile un forte lobbying di Gerusalemme negli Usa, non solo tra i repubblicani, per bloccare o modificare fortemente il testo della “comprehension” siglata, peraltro tra molte polemiche anche nella Repubblica Islamica sciita, dal P5+1 e dagli uomini di Hassan Rouhani, che l’Autorità Suprema della sh’ia, Ali Khamenei ha messo al potere per illudere l’Occidente con il solito “riformista” che non riforma nulla. Ed è noto che il Rahbar Kamenei abbia bollato negativamente il quasi-accordo, mettendo in atto il solito gioco della parti in cui Usa e occidentali sono cascati.

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