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La situazione in Libia peggiora. Lo sforzo dell’inviato dell’Onu, l’ambasciatore Bernardino Leon, che per la terza volta e con tanta fatica cerca di far colloquiare le fazioni libiche, rischia di fallire. Non che ci fossero molte speranze, ma ora che il governo “laico” di Tobruk sta attaccando con ampio (pare) dispiegamento militare la città di Tripoli, dove ha sede il governo opposto, quello “islamico”, le prospettive di un accordo si affievoliscono di parecchio. Sembra di rileggere la vecchia storia manzoniana dei due polli di Renzo, che, mentre legati per le zampe vengono portati da chi si prepara a sgozzarli, continuano beccarsi tra di loro. Nel frattempo l’Isis, che per conto suo continua anch’esso a beccarsi con le milizie “rivoluzionarie’ di Misurata, si frega le mani pregustando il momento in cui riuscirà  sgozzarli tutti e due. O tutti e tre.

Quanto il “grande” attacco propagandato da Tobruk sia veramente destinato ad avere successo è ancora tutto da vedere. Certamente l’aviazione libica (molti piloti sono stati addestrati da ex militari italiani in epoca gheddafiana), sta professionalmente svolgendo il suo lavoro ed i risultati sono sui teleschermi, meno visibili (c’è chi è disposto a giurare che non si vedano proprio) sono le colonne corazzate dei lealisti, in marcia per attaccare la capitale “da varie direzioni”. Certo i combattimenti ci sono, ma potrebbe essere una mossa pre-colloquiale (il governo di Tobruk non è ancora presente a Rabat), con lo scopo di sedersi al tavolo di Bernardino Leon con posizioni di forza. Lo vedremo nei prossimi giorni.

L’Occidente, che oggi finge di astenersi, fa il tifo per il generale Khalifa Haftar, il rinnegato gheddafiano fuggito negli Stati Uniti e autoproclamato (ma poi c’è stato anche un ufficiale investimento da parte di Tobruk) capo di stato maggiore delle forze lealiste. Sembra supportato da Usa, Regno Unito, Francia e Italia, che però si è esposta un po’ meno. L’Occidente è comunque assai impegnato in fumose dichiarazioni congiunte. I quattro Paesi citati (più Spagna e Germania), pilatescamente, si limitano a condannare fermamente ogni violenza (non parlano dell’Isis, ma citano i bombardamenti di Haftar).

A Caen, nel corso del bilaterale Esteri-Difesa, Francia e Italia si impegnano formalmente a supportare un governo unitario libico (?), mentre a Bruxelles oggi l’Alto Rappresentante Ue Federica Mogherini incontra 34 sindaci e capi tribù libici, invitandoli (altrettanto fermamente) a non bisticciare mai più. Stiamo progredendo. Paradossalmente, si tratta di lacrime di coccodrillo miste a pie esortazioni formulate dagli stessi autori che hanno prodotto lo sfascio della Libia con l’infausta operazione del 2011, per poi defilarsi vergognosamente a disastro avvenuto. Ma il vero “supporter” di Khalifa Haftar è il neo-presidente egiziano Al-Sisi, sul quale anche il nostro Presidente Renzi ha visibilmente scommesso. Con quest’ultimo il legame di Tobruk è assai stretto, come pure con l’Arabia Saudita e – escluso il Qatar – con le monarchie del Golfo.

Si continua ad affermare, molto probabilmente a ragione, che la lotta all’Isis in Nordafrica, come pure la soluzione della crisi in Libia, è e deve rimanere questione squisitamente inter-araba. Se davvero pensiamo questo, dovremmo essere più che felici se il potere unificante fosse davvero quello del governo “legittimo” di Tobruk e del generale Khalifa Haftar. Dietro di lui c’è l’Egitto, e fin che si tratta di azzerare anche militarmente l’Isis e riportare all’ovile Tripoli e Misurata siamo tutti d’accordo.

I problemi verranno dopo, quando ci accorgeremo che gli interessi di Al-Sisi sulla ricca Cirenaica potrebbero divergere anche parecchio da quelli italiani. Noi vediamo per il futuro una Libia unitaria, con la quale riprendere convenientemente il filo del discorso bruscamente interrotto nel 2011. Per l’Egitto una Cirenaica “staccata”, o almeno dotata di larghe autonomie da Tripoli, sarebbe con ogni probabilità la soluzione ideale. Non sarà facile metterci d’accordo.

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