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“Le norme devono adeguarsi alla realtà. Non si può in alcun modo condividere la tentazione giacobina e costruttivista dei governi di costringere la realtà in un corpetto rigido progettato all’interno di determinati schemi precostituiti”. Queste le parole del presidente della Commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Area Popolare)espresse durante il convegno intitolato “#JobsAct o #JobsBack? Perché è sbagliato cancellare la legge Biagi” organizzato ieri da Adapt e dall’Associazione Amici di Marco Biagi.

Tra gli interventi dei numerosi relatori che hanno partecipato all’evento, la nota comune è la tensione attorno alla decisione che il Consiglio dei Ministri prenderà sul tema dei contratti atipici il 20 febbraio. La sensazione condivisa è quella che una loro eventuale cancellazione non farebbe altro che aggravare la già difficile situazione del mercato del lavoro in Italia, producendo l’effetto di allontanarsi sempre di più dalla realtà dei lavoratori e delle imprese per finire in un terreno ostile e controproducente. Se infatti questo dovesse accadere, non solo gli interessi di numerosi soggetti non verrebbero ascoltati, ma si troverebbero ancor più confinati in una “zona grigia”, con il rischio di produrre ulteriore lavoro nero e sommerso.

Il compito del legislatore perciò – secondo gli organizzatori e i relatori – non deve essere quello di chiudere gli occhi di fronte alle necessità di una buona schiera di soggetti, ma piuttosto di ascoltare le loro esigenze cercando di regolare il lavoro autonomo e soprattutto definendo il concetto di indipendenza economica, per far si che le parti sociali possano riempire quel vuoto normativo che immancabilmente verrebbe a crearsi. Anche con eventuali strumenti quali la certificazione, che – come ha sostenuto l’esperto di welfare, Giuliano Cazzola, potrebbero aiutare (qui il commento di Cazzola su Formiche.net.

Durante il convegno l’ex ministro Sacconi, dopo aver ripercorso l’evoluzione delle norma negli ultimi anni, ha sottolineato come “ogni volta che si è cercato di trovare soluzioni opportunistiche per i contratti a termine, ci si è sempre ritrovati in mano soluzioni peggiori delle precedenti”. Facendo anche l’esempio delle “associazioni in partecipazione che, con l’incontro diretto tra capitale e lavoro che condividono rischi e guadagni della propria attività in un rapporto più intenso di quello di tipo subordinato, possono rappresentare la soluzione del domani”. Sacconi ha inoltre indicato come “è condivisibile l’idea di liberare il rapporto di lavoro da oppressioni di tipo fiscale, burocratico, contributivo, ma che nell’epoca delle incertezze non ci si può affidare soltanto al contratto a tempo indeterminato”.

Oltre a Sacconi è intervenuta Flavia Pasquini, vice-presidente della Commissione di Certificazione dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che ha fatto notare come “il legislatore ha una visione cristallizzata del mercato del lavoro, quasi una Pompei del diritto” e che “ la caratteristica dei nuovi lavori è l’ubiquità, dove si lavora senza orario e senza luoghi precisi”. In seguito Jole Vernole, direttore centrale Politiche Lavoro e Welfare, ha messo in luce che “il contratto a tempo determinato in Italia costituisce il 13% dei contratti attivi”, confermando in seguito che “la varietà delle tipologie contrattuali è un valore per le imprese e i lavoratori”.

Si è anche toccato a seguire il tema della digital economy, con le relazioni del presidente di Confindustria Digitale Elio Catania e di Confidustria Intellect Ezio Lattanzio, d’accordo sul fatto che il mondo del lavoro in Italia presenta “una forte richiesta di flessibilità e adattabilità”, e che “un eventuale irrigidimento produrrebbe ulteriore distacco dalla realtà”. “La società italiana – ha detto Catania – si è trovata fortemente impreparata di fronte alla nascita e allo sviluppo di internet e del web, ed è perciò necessario colmare questo divario tecnologico e di competitività”.

Le associazioni ASSRIM, ASSOCONTACT e UNIREC hanno sottolineato che “una eventuale stretta sui contratti atipici metterebbe a rischio un numero di posti di lavoro pari all’incirca a 75.000 collaboratori ed almeno 20.000 subordinati”. Per i relatori perciò “è bene contrastare il precariato mascherato da flessibilità”, ma è anche “bene valorizzare forme genuine di collaborazione autonoma, che è come ossigeno per le imprese e i lavoratori”, in modo particolare “per le esigenze di conciliare tempo libero e tempo lavorativo”. Inoltre “la rapida evoluzione normativa e lo scambio tra flessibilità in uscita e in entrata ha sempre penalizzato le strutture medio-piccole e favorito le grandi”.

Ha parlato per ultimo il prof. Michele Tiraboschi che ha tenuto a precisare che “lo spirito costruttivo del richiamo alla legge Biagi serve per rimetterne in campo i valori e la progettualità”, ricordando come “dovrebbe essere il governo a convocare le associazioni interessate, ma questo non accade, ed è perciò costretto a farlo Adapt”.  “Oggi la regola è condividere professionalità, interpretare la realtà” ha continuato Tiraboschi, e “il tema della rappresentanza non è una questione di concertazione, ma di rappresentazione”. Perciò è importante ribadire il “no alle rappresentazioni datoriali che blocchino lo sviluppo” e che – aggiungendo infine in maniera ironica – “ignorino le più di 50 sfumature di grigio che ci sono tra il lavoro subordinato e quello autonomo”.

marco biagi

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