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Agcom a caccia di posizioni dominanti da arginare e cui, possibilmente, porre rimedio: nel mercato della Internet of Things come in quello dei media audiovisivi, l’autorità studia le dinamiche in atto per capire chi sono i player che si affrontano e se la libera concorrenza è a rischio. La consultazione pubblica appena conclusa sul mercato Internet delle Cose ed M2M (le comunicazioni tra macchine che sono il cuore della Internet of Things) e quella appena avviata sui servizi audiovideo e radiofonici vanno in questa direzione, come spiega a Formiche.net il commissario Antonio Nicita.

Cosa è emerso dall’indagine conclusa sull’M2M che ha avuto come relatori lei e il commissario Antonio Martusciello?

Si tratta di un settore che pone nuovi problemi al regolatore ma anche all’utente finale. Per questo abbiamo deciso di intervenire tempestivamente: l’indagine Agcom è una delle prime a livello europeo ed è partita in parallelo con quella del Berec. Ne discuterò ancora a giugno con gli esponenti delle autorità dei grandi Paesi europei in un workshop a Parigi organizzato dal governo francese. Ci sono diversi temi che il regolatore deve inquadrare. Pensiamo al roaming internazionale per le connessioni machine to machine. Le norme attuali prevedono la comunicazione tra persone, non tra cose. Ma la Internet of Things è fatta soprattutto di cose connesse: quali regole devono valere per le Sim utilizzate per servizi machine to machine sovranazionali? Se una connected car, con una scheda telefonica, varca i confini del suo Paese, va soggetta al roaming, ma con quali costi e a beneficio di quali provider? E’ una questione che interessa consumatori e aziende, che vorranno offrire schede per utilizzi sovranazionali. L’Internet of Things non è solo il futuro delle connessioni ma anche dei modelli di business.

Che cosa rende così difficile regolare il settore?

Soprattutto la sua trasversalità: tocca segmenti industriali diversi. Il rischio è o un vuoto di regole o un eccesso di regole non ottimali e fuori fuoco, date dalla somma delle norme dei singoli settori coinvolti. Entrambi gli estremi vanno evitati: le autorità devono coordinarsi per garantire sì una regolazione, ma snella.

Che cosa teme? Un freno allo sviluppo di questa industria che può produrre guadagni e posti di lavoro?

Sì, e anche barriere all’ingresso dei nuovi player. A livello transnazionale, secondo l’indagine Agcom, i servizi M2M stanno spingendo gli operatori mobili a sviluppare alleanze e se, da un lato, forme di consolidamento possono portare a importanti incrementi di efficienza, dall’altro occorre vigilare sui rischi di innalzamento di barriere all’ingresso del mercato, specie a danno di quegli operatori nazionali che sono più deboli nella competizione globale. Assicurare la competitività del settore è fondamentale e per questo è importante anche che si arrivi a standardizzare le tecnologie, evitando l’affermazione di piattaforme proprietarie non interoperabili e quindi la formazione di posizioni dominanti.

E’ un rischio concreto?

Gli operatori, specie quelli con dimensione internazionali, potrebbero attrezzarsi per creare protocolli proprietari mentre sarebbe bene avere sistemi che dialogano tra loro. L’Agcom dovrà favorire un coordinamento nazionale per affermare uno standard, ma occorrerà anche e soprattutto un coordinamento internazionale. Il tema dell’interoperabilità riguarda molto i dispositivi installati nei veicoli e in casa. La nostra indagine ha per esempio trovato che ci sono 33 milioni di dispositivi smart metering installati in Europa e c’è da capire se gli operatori intendono costruire reti private per questi contatori o farli andare su reti pubbliche. Inoltre: le Sim sono multitasking oppure i diversi servizi non si parlano tra loro? Il rischio è che si creino ecosistemi chiusi, ognuno col suo operatore dominante. L’Agcom ha istituito anche un tavolo tecnico, un Comitato aperto alla partecipazione di tutti i soggetti, istituzionali e non, coinvolti nello sviluppo dei servizi M2M, per discutere di questi e altri temi (come lo sviluppo della banda larga fissa e mobile e la liberazione di nuove frequenze) e di regolazione, ma l’approccio preferibile, almeno in una prima fase, è quello light-touch: favorire il mercato con regole soft garantendo un terreno di confronto equo e scongiurando le posizioni di controllo.

Lo stesso obiettivo guida l’istruttoria avviata da Agcom ai sensi dell’articolo 43, comma 2 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici.

Sì, e anche in questo procedimento sarò relatore insieme al collega Martusciello. Vogliamo accertare l’eventuale esistenza di posizioni dominanti o comunque lesive del pluralismo nel settore dei servizi di media audiovisivi. Il settore si è profondamente trasformato dall’era dell’analogico: ci sono servizi lineari e non lineari, integrazione tra programmazione broadcast e broadband, nuove piattaforme su Internet. Occorre capire se i mercati rilevanti sono cambiati e se esiste il rischio di situazioni di controllo. In ogni caso, valuteremo i possibili rimedi, ove necessari, dopo un’ampia consultazione e un’analisi molto dettagliata e condivisa con tutti gli stakeholders sul merito, sui numeri, sulle metodologie.

Come dire: YouTube, Netflix, Mediaset e Sky ma anche player piccoli devono tutti poter competere ad armi pari. L’indagine nasce dall’ipotesi che la corretta concorrenza non esiste più?

No, sono indagini che periodicamente l’Agcom conduce, anzi deve condurre. Ma sicuramente scaturisce dall’osservazione di un profondo mutamento del mercato, dove sono in atto processi di diversificazione produttiva dei contenuti e della loro distribuzione, e dal riconoscimento della possibilità di convergenze tra player, anche di settori diversi, che possono portare a posizioni dominanti. Si tratta di un’analisi economica antitrust di natura merceologica e geografica. Aziende come Netflix e tutti gli Ott, che offrono prodotti in concorrenza con i tradizionali servizi audiovideo, attraggono una fetta rilevante della domanda di contenuti, inclusi i contenuti driver rappresentati dal calcio.

Un tema molto attuale viste le polemiche sui diritti tv del calcio.

Sul calcio e su diritti sportivi in genere l’analisi aiuterà a superare il contesto della Legge Melandri e l’equivoco ancora presente su concorrenza per piattaforme o per modalità di fruizione. Le nuove modalità di fruizione online costituiscono fattori straordinari di innovazione e di sfida concorrenziale che vanno a tutto beneficio dei consumatori e, perché no, anche della produzione nazionale di opere audiovisive. Allo stesso tempo queste nuove sfide pongono la questione della simmetria regolatoria tra vecchi e nuovi soggetti. Il tutto si inserisce nel contesto di analisi volto a una possibile revisione regolatoria che Agcom ha già avviato sulle quote di produzione e programmazione di opere audiovisive.

La precedente indagine conoscitiva dell’Agcom sulla “Televisione 2.0 nell’era della convergenza” ha fatto emergere l’esistenza di asimmetrie normative tra la televisione lineare e i nuovi servizi offerti via Internet e la necessità di ridefinire gli aspetti salienti dell’attuale disciplina; è possibile che la nuova istruttoria confermi quel dato?

E’ prematuro parlare di risultati: l’indagine durerà 180 giorni. Conta adesso far partire la macchina e avviare un confronto sul merito delle questioni, alla luce anche delle best practices internazionali. Ma se valuteremo che la concorrenza è distorta, in uno o più mercati rilevanti, ove individuati, l’Agcom provvederà a imporre dei rimedi per rispristinare l’equilibrio pro-concorrenziale, anche in una prospettiva dinamica e convergente tra pay e free, da un lato, e telco e tv dall’altro, senza dimenticare la sfida dell’online e dei mercati emergenti.

Tv, Ott e Internet delle cose, come si muove l'Agcom. Parla Antonio Nicita

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