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Perugia ─ Le forze speciali americane hanno ucciso in un raid sul territorio siriano, un leader di medio livello dello Stato islamico. L’azione è avvenuta venerdì, in un’area ad est della Siria, vicino al reservoir di al Amr, nei pressi di Deir Ezzor ─ importante capoluogo sull’Eufrate della provincia omonima, famosa per il bacino petrolifero del Khabur.

L’uomo colpito nell’operazione americana è Abu Sayyaf, che sarebbe rimasto ucciso nel corso di un conflitto a fuoco: con lui c’era sua moglie Umm Sayyaf, catturata dai commandos della Delta Force aviotrasportati dalla 160th Elicotteri.

La notizia è stata confermata dal segretario alla Difesa Ashton Carter, che ha precisato che nessuno dei militari americani è rimasto ferito durante l’operazione. Bernadette Meehan, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, ha diffuso un comunicato in cui ha specificato che Umm Sayyaf è stata imprigionata in un centro di detenzione americano in Iraq ─ e già questa di per sé è una notizia, visto che è la prima volta che si sente parlare di campi di detenzione americani in Iraq, dai tempi dei famosi Abu Ghraib eccetera. Brett McGurk, assistente del segretario di Stato con la responsabilità della gestione del dossier anti-IS, spiegando la missione su Twitter, ha ringraziato il governo iracheno per la collaborazione ─ altro aspetto interessante, gli americani si sono coordinati con Baghdad per intervenire in Siria. La Casa Bianca ha sottolineato che il raid è stato compiuto senza avvisare il governo di Damasco, ma che durante la missione è stato mandato un messaggio di non interferire con l’operazione in corso.

Sul perché si sia scelto di compiere un blitz oltre confine e non di utilizzare la solita prassi del raid aereo, ci sarà da capire. La missione, ufficialmente, prevedeva la cattura di Sayyaf: dunque l’intelligence americana, oltre che sugli spostamenti, aveva informazioni sulla possibilità che l’uomo fosse a conoscenza di qualcosa di molto importante da doverne preservare l’incolumità? Da quel che si sa la Cia e il Pentagono erano da settimane sulle tracce della coppia, anche grazie a una piccola ma produttiva rete di intelligence locale.

Secondo quel che si sa, sembra che Abu Sayyaf, tunisino unitosi al jihad iracheno già nel 2003, era colui che gestiva i rapporti di mediazione tra il governo siriano. Damasco è a corto di prodotti energetici da quando l’IS ha preso il controllo delle aree orientali siriane dove si trovano gran parte dei pozzi e dei giacimenti di gas naturale. Da quel momento è risaputo, più o meno ufficialmente, che il regime del presidente Bashar al Assad compra petrolio e gas dal Califfo, per poi ridistribuirlo a prezzi più bassi ─ questa è una delle attività di contrabbando che permette il finanziamento del Califfato. A marzo, l’Unione Europea ha imposto delle sanzioni su un uomo d’affari siriano, George Hawsani (proprietario della HESCO Engineering Company), con l’accusa di essere il mediatore per il governo siriano di questi traffici. Dall’altro lato di questi ambigui negoziati, ci sarebbe stato Abu Sayyaf, dunque.

Nel frattempo, secondo al Arabya, un attacco aereo americano avrebbe ucciso oltre trenta militanti in Anbar, la provincia di Ramadi, cittadina che venerdì è caduta sotto il controllo dello Stato islamico nonostante gli sforzi delle forze di sicurezza irachene e della Coalizione internazionale. Quasi contemporaneamente alla diffusione della notizia da parte del governo americano, la Tv di Stato siriana, annunciava un raid nell’area del giacimento petrolifero di al Omar in cui sarebbero rimasti uccisi 40 militanti, tra cui “il ministro del Petrolio dello Stato islamico” ─ avvenne qualcosa di analogo quando lo scorso luglio gli USA annunciarono un raid a Raqqa (quello per liberare gli ostaggi occidentali, tra loro c’era James Foley, che non andò a buon fine), poco dopo la propaganda siriana dichiarò un attacco, con esiti molto positivi, nello stesso luogo: molto probabile che i siriani, a conoscenza del raid americano per l’intimidazione al non interferire, hanno diffuso la notizia propagandisticamente in anticipo per metterci il cappello.

@danemblog

(Foto: Al Monitor)

 

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