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L’incontro tra il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, e il premier cinese, Li Qiang, avvenuto lunedì a margine del vertice Asean in Malesia, ha riportato al centro dell’agenda europea le tensioni strutturali nei rapporti tra Bruxelles e Pechino. Costa ha espresso le preoccupazioni dell’Unione per l’estensione dei controlli cinesi all’export di materie prime critiche, e ha ribadito l’attesa che Pechino svolga un ruolo più attivo nel contribuire alla fine della guerra russa in Ucraina.

Dal canto suo, Li Qiang ha sottolineato la volontà di espandere una cooperazione commerciale “più equilibrata” con l’Ue, ma le tensioni su veicoli elettrici, sussidi industriali e terre rare confermano che la relazione resta segnata da un equilibrio instabile tra interdipendenza e diffidenza.

È in questo contesto complesso che si inserisce la conferenza di due giorni “Turning Tides. The Future of China–EU Relations”, organizzata da Johns Hopkins University Sais Europe e Università di Bologna in occasione del cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica Popolare Cinese e l’Unione europea. La conferenza di due giorni raccoglie i più autorevoli esperti sul tema Cina, nonché personalità diplomatiche europee, offrendo una cornice di riflessione sulle traiettorie storiche e sulle nuove sfide della relazione sino-europea, in un momento in cui la competizione tra Stati Uniti e Cina ridisegna anche gli spazi di manovra dell’Europa.

Dalle origini alla trasformazione

Turnig Tides parte da un assunto: quando nel 1975 la Repubblica Popolare Cinese e la Comunità economica europea avviarono relazioni diplomatiche, la Cina cercava una via d’uscita dall’isolamento della Rivoluzione Culturale e un equilibrio strategico nel quadro bipolare della Guerra Fredda. L’apertura verso l’Occidente, motivata da esigenze economiche e di legittimazione, favorì la modernizzazione cinese e un lungo periodo di cooperazione con l’Europa.

Ma quella stagione di ottimismo si è probabilmente esaurita. La Cina di oggi è una potenza revisionista, tecnologicamente avanzata e consapevole della propria influenza. L’Europa, al contrario, affronta l’ambiguità di una dipendenza economica da un partner che è anche competitor sistemico. I cinquant’anni di rapporti sino-europei, come hanno ricordato diversi relatori del primo panel, raccontano una parabola che va dall’illusione della convergenza all’urgenza del ripensamento.

Il bivio europeo: tra de-risking e autonomia strategica

Nel cuore del dibattito, la questione dell’autonomia europea, affronta nel panel pubblico da tre relatori di assoluto rilievo — Paolo Gentiloni, già Commissario europeo per gli Affari economici e finanziari ed ex presidente del Consiglio italiano; Silvie Matelly, direttrice dell’Institut Jacques Delors, e Romano Prodi, presidente della Foundation for Worldwide Cooperation, già presidente della Commissione europea e presidente del Consiglio italiano — moderati da Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali e professor of the practice alla Sais Europe. Dal dibattito, emerge che la stagione attuale — segnata dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e dal suo approccio disarticolato all’ordine globale rispetto al più ordinato primo mandato — rende sempre più difficile per l’Ue definire una linea chiara nei confronti di Pechino in accoppiata con Washington. Lo scontro commerciale unilaterale condotto dagli Stati Uniti non ha ridotto le dipendenze dall’economia cinese, anzi in alcuni settori le ha accresciute. E per l’Europa, ciò significa che l’automatismo transatlantico nella gestione del rapporto con la Cina non è più scontato – per quanto necessario.

Nel confronto è emersa l’idea che la risposta europea debba fondarsi sulla valorizzazione del “mercato unico” come leva strategica, accompagnata da una politica industriale autonoma. “Autonomia” è tra le parole chiave a tutti gli effetti. Anche nell’ottica di un “Made in Eu 2025”, idea per un piano simmetrico al “Made in China 2025”, capace di consolidare la sovranità tecnologica e industriale.

Non si tratta solo di ridurre rischi economici, ma di comprendere che ogni scelta commerciale ha ricadute geopolitiche dirette. La militarizzazione dell’economia globale — percepita come una realtà già consolidata in Cina e in parte negli Stati Uniti — richiede all’Europa di sviluppare strumenti adeguati per difendere i propri interessi. Da qui la necessità di un approccio realmente strategico, che unisca de-risking e autonomia politica.

Russia, Cina e il nuovo equilibrio globale

Ampio spazio nel dibattito organizzato a Bologna è stato dedicato alla relazione tra Pechino e Mosca, descritta come una parternership di convenienza, più che ideologica. Dall’analisi emerge come negli anni precedenti alla pandemia, la Cina cresceva di un’intera “Russia all’anno” in termini di prodotto interno lordo, un fattore che marca le differenze – economiche ed evolutive – dei due Paesi. Ma oggi quel ritmo si è interrotto. E il rallentamento economico spinge Pechino a cercare un ambiente internazionale più stabile: da qui che potrebbe derivare un interesse comune con Washington nel contenere la guerra russa in Ucraina.

Tuttavia, la disponibilità cinese a esercitare pressioni su Mosca appare condizionata: Pechino agirebbe solo se percepisse un reale indebolimento di Putin. La convergenza sino-americana su un cessate il fuoco resta ipotetica, ma il tema rivela l’intreccio profondo tra economia, sicurezza e diplomazia. Ogni decisione europea — dalle sanzioni al sostegno a Kyiv — influenza questa dinamica e ne subisce gli effetti.

In questo quadro, è emersa una domanda chiave: l’Europa ha davvero compreso quali siano i propri interessi? L’autonomia strategica evocata dai relatori non è una formula astratta, ma il presupposto per restare un attore rilevante in un ordine mondiale sempre più competitivo e interdipendente.

Il passato non è più disponibile

La conferenza, di cui Formiche è media-partner, lancia un messaggio netto: il tempo dell’ottimismo automatico è finito. La Cina non è più un partner da accompagnare nella crescita, ma un interlocutore da gestire con equilibrio, consapevoli che cooperazione e competizione saranno destinate a coesistere.

Il compito dell’Europa è ridefinire il proprio ruolo nel nuovo ordine globale, mantenendo la coesione interna e rafforzando la capacità di incidere sulle regole della globalizzazione. Come hanno osservato i relatori, il passato non è più possibile: ma proprio da questa consapevolezza può nascere una relazione più matura, fondata su realismo, autonomia e interessi condivisi.

Ecco perché serve ripensare le relazioni Ue–Cina

La conferenza Turning Tides, organizzata da Sais Europe e Università di Bologna, ha segnato il cinquantesimo anniversario delle relazioni Ue–Cina, in un contesto globale segnato da nuove tensioni e ridefinizioni strategiche. Tra i temi centrali: autonomia europea, de-risking e la necessità di un equilibrio realistico tra cooperazione e competizione con Pechino

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