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I dati forniti dal ministro Giuliano Poletti sugli andamenti dell’occupazione (92mila posti in più come saldo fra assunzioni e cessazioni) sono significativi perché si riferiscono al mese di marzo dell’anno in corso. Sono pertanto i primi da quando, dal giorno 7 di quel mese, è entrato in vigore il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.

Da quel momento, un importante incentivo normativo (per i nuovi assunti dal 7 marzo e per coloro che successivamente cambiano lavoro la tutela contro il licenziamento ingiustificato è normalmente di carattere obbligatorio/risarcitorio) si combina con un robusto bonus economico previsto dalla legge di stabilità.

In soldoni – è sempre bene ricordarlo – un datore di lavoro che assuma a tempo indeterminato un dipendente nell’arco temporale del 2015, godrà di una forma di decontribuzione per un triennio pari a 8.060 euro l’anno. Ciò significa che, in questo periodo, risparmierà più di 24mila euro, l’equivalente della retribuzione lorda di un anno.

Gli osservatori si chiedono quale sia la “pietra filosofale” che induce le imprese ad assumere: i critici, come Susanna Camusso, del Jobs act Poletti hanno interesse a sottolineare la “spinta” proveniente dall’incentivo, mentre il governo ci tiene a valorizzare il ruolo del contratto di nuovo conio, che è pur sempre un caposaldo delle sue politiche del lavoro.

E’ difficile, per ora, fare delle distinzioni sugli effetti delle due differenti misure. Sorge, poi, un altro problema: quante  delle assunzioni, comprese quelle di marzo, sono nuova occupazione, magari di giovani, oppure trasformazioni di contratti a termine, di collaborazioni o di altri rapporti?

E’ chiaro che, nella seconda ipotesi, non si crea occupazione aggiuntiva, ma si cambia, nel senso di una maggiore stabilità, il mix della composizione del mercato del lavoro.

Non di solo Jobs Act vive l'occupazione

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