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Dai colloqui al Cremlino, dove, dopo essersi consultati con l’interventista ucraino Pietro Poroshenko, i due grandi europei “fai da te”, Angela Merkel e Francois Hollande, hanno incontrato Vladimir Putin, non è giunto fino a noi alcun effetto positivo. O, almeno, propositivo. Lo Zar ha continuato il suo doppio gioco, negando ogni responsabilità e, quindi, ogni possibilità di intervento efficace, mentre la Cancelliera e il Presidente hanno riferito rispettivamente su uno sconsolante ulteriore inasprimento di sanzioni e su futuri scenari di guerra.

Dopo Minsk, dove almeno sulla carta qualcosa si era concordato, il nulla di fatto di Mosca a livello vertici rappresenta un secondo fallimento. Né, si ritiene, gli “sherpa” che sono subentrati ai “grandi” sono destinati ad avere, almeno in questa tornata, un successo maggiore. Nel frattempo, mentre Nato e Usa – legati alla stessa catena – nella loro impotenza continuano a ringhiare, a Bruxelles si pensa solo al debito greco e nel Donbass si continua a morire. In questi casi, la cosa migliore è alzare gli occhi dalla cronaca e cercare di guardare il problema da una certa distanza.

Occorre, ormai sono in molti ad esserne convinti, puntare a una via di mezzo. La questione Ucraina ormai ha sconvolto i tavoli post-guerra fredda delle relazioni tra Stati Uniti, Europa e Russia. Di ciò va preso atto in modo pragmatico, nel senso che è impensabile tornare indietro del tutto, come se nel frattempo nulla fosse accaduto. Gli scenari che si delineano all’orizzonte sono almeno tre: una “normalizzazione”, una progressiva escalation verso situazioni di conflitto e una sorta di “pace fredda” (ecco il rovesciamento del tavolo), dove Nato ed Europa mantengono innalzato il loro livello di vigilanza, in presenza di analogo provvedimento della Russia. Quindi, niente reset di Hillary Clinton, in effetti troppo strumentalizzato, ma anche niente tentativi di partnership. Solo un po’ di affari, in un gelido e pragmatico clima di pace. Vediamo i tre scenari.

Normalizzazione. L’Ucraina preserverebbe la propria integrità territoriale (a parte la Crimea, ormai perduta), le aree russofone avrebbero una larga autonomia amministrativa (una sorta di regioni a statuto speciale) e Kiev rimarrebbe la capitale sovrana di uno Stato federale indipendente, ma di fatto nell’orbita russa. In altre parole, qualcosa di simile alla soluzione prospettata dall’Osce. Unione Europea e Nato, in questo caso, dovrebbero allentare le proprie spinte per la partnership, accontentandosi di amichevoli situazioni commerciali con l’Ucraina e di sicurezza ai confini. Soluzione accettabile per la Russia, non mortificata, e anche per Stati Uniti e Ue, che vedrebbero cautamente normalizzarsi – senza avventure – anche le relazioni con Mosca. Probabilmente anche larga parte del popolo ucraino la accetterebbe di buon grado, soddisfatto dal miglioramento delle condizioni economiche e dalla fine di quest’esperienza di tipo balcanico. Una sorta di finlandizzazione che tuttavia, nell’attuale radicalizzazione della lotta tra ucraini e russofoni sembra assai remota e, oggi, ancora poco percorribile.

Escalation. Questo ovviamente è lo scenario peggiore, che – secondo una ricerca dell’Università di Praga (Ondrej Ditryche, su International Spectator) – a seconda del livello di instabilità sviluppato in Ucraina, potrebbe presentarsi sotto diversi sub-scenari. Un intervento militare della Russia, limitato a strappare il Donbass dal controllo centrale, ma senza annetterlo, come aveva fatto con la Crimea: il rapporto con Usa, Nato ed Eu sarebbe ulteriormente compromesso, ma, con ogni probabilità, senza un diretto intervento militare alleato. Se questo primo colpo di mano dovesse fallire per la resistenza ucraina, allora si potrebbe presagire un’avanzata russa verso Kiev, oltre il Dniepr. Anche questo, tuttavia, non provocherebbe un intervento militare occidentale diretto, ma solo l’istituzione di una linea di separazione sotto l’egida dell’Onu e dell’Osce. Ma il sub-scenario più pericoloso, fortunatamente il meno probabile, sarebbe un’avanzata russa step-by-step verso Occidente. In questo, Stati Uniti e Nato potrebbero non reagire in forma preventiva e la capacità di Putin di creare, come oggi, situazioni ambigue  per rompere la coesione europea all’interno e all’esterno della Nato, riuscirebbe in pieno nel proprio intento. Il terzo sub-scenario sarebbe catastrofico: guerra di Usa e “volonterosi” contro la Russia o, in alternativa, conseguimento dei propri scopi da parte di Mosca, con disfacimento totale della Nato e del rapporto transatlantico. Il Pivot to Asia troverebbe finalmente reale attuazione.

Pace “fredda”. Dopo tanti scenari, si ritorna più o meno alla situazione attuale, prolungata indefinitamente nel tempo. L’Occidente non si muove, ma continua a supportare l’integralismo ucraino, con forniture di armi e atteggiamento politico. Parimenti la Russia di Putin – conscia della propria debolezza politica ed economica – continua nell’atteggiamento di negare responsabilità e di intervenire a distanza, senza superare eventuali linee rosse. L’Onu, non essendoci linee di demarcazione, non si impegnerebbe in un nuova missione peace keeping. Difficilmente, perché il rischio sarebbe eccessivo per tutti, l’Ucraina continuerebbe ad essere “allettata” verso forme più strette di collaborazione da parte Nato e Ue. Le relazioni economiche con la Russia, dettate da reciproche esigenze, continuerebbero solo sotto traccia. Con il tempo, tanto tempo, la situazione interna ucraina troverebbe comunque, se non altro per stanchezza da logoramento, qualche forma autonoma di tacita composizione.

Tutto si risolverebbe in una guardia più alta da parte di Nato e Usa, non tanto per le sorti dell’Ucraina, quanto per tenere tranquilli i nuovi alleati dell’Est e in ulteriori minacce di escalation da parte russa. In altre parole, una sorta di politica del contenimento limitata, ma abbastanza simile a quella d’altri tempi. Per fortuna nostra ed altrui, così come vanno oggi le cose questo è lo scenario più probabile: cambiare tutto, perché nulla cambi.

Ucraina, ecco i tre scenari militari

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