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In ogni caso, al di là del “tesoretto spendibile” nel 2015, la partita si gioca sulla capacità di coprire con tagli di spesa “strutturali” almeno per il 60% le clausole di salvaguardia a valere sugli anni dal 2016 in poi. C’è da aggiungere che oltre a tali clausole andranno rifinanziate anche le spese cosiddette “indifferibili” (rifinanziamento contratti di servizio e missioni di pace, emergenze varie), che valutiamo dell’ordine di almeno 4 miliardi a valere già dal 2016. In pratica, la manovra da dettagliare in sede di Legge di Stabilità 2016 potrebbe dover reperire risorse per almeno 12 miliardi sul 2016 (lo 0,7% del PIL) e oltre 20 miliardi dal 2017 (1,2% del PIL).

Chiaramente, l’ammontare di risorse sarebbe superiore nel caso in cui il governo decida di prorogare alcune misure espansive implementate nel 2015 (ad esempio la decontribuzione sulle assunzioni a tempo indeterminato) o di attivarne di nuove. C’è anche da tenere conto del fatto che il tendenziale sconta non solo l’attivazione delle clausole di salvaguardia sulle entrate ma anche un’altra ipotesi delicata dal punto di vista politico, la proroga del blocco del contratto del pubblico impiego, in forza del quale le uscite per redditi da lavoro dipendente sono viste calare dal 10,1% del PIL nel 2014-15 al 9% del PIL nel 2019. Infine, c’è sempre da ricordare che all’Italia potrebbe essere chiesta dalla Commissione Europea per il 2016 una correzione strutturale superiore allo 0,1% di PIL offerto dal governo, il che aumenterebbe ulteriormente l’ammontare di risorse da reperire l’anno prossimo (altri 3 mld in caso di correzione di 0,3%).

Da dove arriverebbero queste risorse? Gli interventi possibili sono:
1) circa 3 miliardi dal “riordino” delle tax expenditures (1,5 mld) e degli incentivi alle imprese;
2) 4-5 mld da interventi di razionalizzazione della spesa, tra cui il rafforzamento del sistema delle centrali uniche per gli acquisti di beni e servizi (che varrebbe almeno 1,5 mld aggiuntivi), la stretta sulle partecipate e il taglio di trasferimenti e sussidi al trasporto pubblico;
3) i restanti 2,5-4 miliardi da interventi principalmente sulla spesa regionale, anche nella sanità.
In pratica, ancora una volta, il 70% dei tagli sarebbe a carico degli enti locali. Da notare che il totale delle coperture ammonterebbe a 10-12 mld, sufficienti a coprire a malapena clausole di salvaguardia e spese inderogabili sul 2016 ma non per gli anni a venire. Ma la partita è ancora tutta da giocare, ed è sul processo di spending review che si gioca la credibilità del sentiero di finanza pubblica.

In sintesi, gli aspetti positivi del Def sono:
1) il fatto che il governo si sia non solo impegnato a evitare interamente l’aumento delle imposte implicito nelle clausole di salvaguardia (senza le quali la pressione fiscale, al netto del bonus Irpef, è destinata a scendere nell’orizzonte di previsione), ma si sia anche proposto di utilizzare al massimo i margini creatisi (soprattutto dai risparmi sul costo del debito) per nuove misure a sostegno della crescita;
2) le nuove proiezioni di finanza pubblica appaiono tutto sommato credibili in quanto a nostro avviso le stime di crescita non sono particolarmente caute, ma le stime sui risparmi da spesa per interessi ci sembrano prudenti: assumiamo una spesa per interessi più bassa in media dello 0,4% del PIL nel periodo 2016-19 rispetto alle stime governative; anzi, le nostre previsioni sulla curva dei tassi configurerebbero risparmi ancora maggiori, di 0,8% in media sull’orizzonte considerato); ciò crea un “cuscinetto” in grado di assorbire eventuali scostamenti ex post sui tagli di spesa.

D’altra parte il Def presenta anche diversi aspetti problematici:

1) non è da escludere che i nuovi obiettivi programmatici siano oggetto di un nuovo negoziato con l’UE, al termine del quale si ridurranno i margini per “ammorbidire” il sentiero di correzione dei conti;
2) l’obiettivo di coprire per la maggior parte con tagli di spesa “strutturali” le clausole di salvaguardia anche solo sul 2016 resta molto sfidante, anche perché i risparmi si sommano a quelli già decisi con precedenti interventi normativi; 3) l’ulteriore giro di vite sugli enti locali (già abbondantemente colpiti negli anni scorsi) è sostenibile solo se si esce definitivamente dalla logica dei tagli “lineari” e si adotta una ripartizione dei sacrifici in base a criteri di produttività ed efficienza; ad oggi non è chiaro se il governo sia pronto a percorrere fino in fondo questa strada.

Nel complesso, il Def è “espansivo” se paragonato al sentiero tendenziale di finanza pubblica (che incorpora un deciso aumento della pressione fiscale), ma, comunque lo si misuri (variazione del saldo nominale o corretto per il ciclo, primario o non), l’orientamento della politica fiscale è destinato a tornare (lievemente) restrittivo dal prossimo anno, in quanto, come abbiamo indicato ripetutamente in passato, i risparmi sul costo del debito non possono coprire interamente le clausole di salvaguardia.

Def 2015: bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno?

In ogni caso, al di là del “tesoretto spendibile” nel 2015, la partita si gioca sulla capacità di coprire con tagli di spesa “strutturali” almeno per il 60% le clausole di salvaguardia a valere sugli anni dal 2016 in poi. C’è da aggiungere che oltre a tali clausole andranno rifinanziate anche le spese cosiddette “indifferibili” (rifinanziamento contratti di servizio e…

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