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La Russia è la grande vittima di quello che sta accadendo. L’America, nei giorni scorsi, ha accarezzato l’idea di fare saltare Putin e di fare tornare la Russia ai tempi di Eltsin, quando era inoffensiva e in bancarotta. Putin ha agito in modo razionale, arretrando significativamente ma tracciando una linea da non superare. Senza troppo clamore ha congelato la situazione militare in Ucraina e fatto arretrare le forze filorusse.

Sul piano più importante, quello politico, ha cercato di presentare la Russia non come un antagonista dell’Occidente ma come un mediatore. Non vogliamo, ha detto Lavrov a Kerry, essere per forza un alleato della Siria, dell’Iran, di Hizbullah e del Venezuela, vogliamo solo essere un mediatore tra questi e gli Stati Uniti. Anche sull’Ucraina ci proponiamo in questo ruolo e, dopo la Crimea, non vogliamo annettere più niente. Chiediamo solo che la Nato non entri nel paese e un po’ di autonomia per i russofoni.

D’incanto la pressione occidentale si è arrestata. La campagna sul default russo imminente e sulla disperata e controproducente difesa del rublo è cessata. Putin si lecca le ferite ma è ancora in piedi. Spingere la Russia nel precipizio, per l’Occidente, avrebbe significato un’onda d’urto di ritorno fatta di vero default russo e recessione europea. Ancora peggio, al posto di Putin sarebbe potuto arrivare un nazionalista o un militare pronto a sfoggiare, nella disperazione, il suo arsenale nucleare.

Tutte le grane di Putin

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