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Questo commento è stato pubblicato oggi da L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi

L’uovo di Colombo è nelle tre parole in spagnolo che Barack Obama ha sentito il bisogno di pronunciare: “Somos todos americanos”, siamo tutti americani.

Sono le parole che gli disse papa Francesco per convincerlo sulla necessità di voltare pagina, dopo cinquantasei anni di incomunicabilità totale, di uno sbarco tentato e fallito e persino di una guerra atomica sfiorata fra i governi democratici degli Stati Uniti e la dittatura comunista a Cuba, spalleggiata sempre dalla Russia quando ancora era e si chiamava Unione sovietica.

Un’epoca lontana e in bianco e nero, che però sembrava sopravvivere a tutto: al persistente embargo americano, al perdurante regime castrista, al doloroso esilio di generazioni di cubani, ma soprattutto alla loro condizione nell’isola, ancora oggi alle prese con una tragica mancanza di libertà e di sofferenza economica in un Continente latino-americano che ha saputo sbarazzarsi da tutti i suoi golpe e militari al potere, da tutte le sue guerriglie. E che, il Brasile insegna, sa che cos’è la crescita.

Invece il gelido rapporto tra la vicina America e una Cuba senza più nazioni minacciose alle spalle era un’anomalia triste e inaccettabile, che questo Papa sta contribuendo a cambiare. Perché il mediatore Francesco è riuscito a convincere anche Raúl Castro, il fratello di Fidel, che il braccio di ferro ormai rappresentava un anacronismo continentale. E perciò quel che generazioni di governanti non sono riusciti a ottenere, cioè indurre le parti a smetterla col muro contro muro, ora pare esservi riuscito il Papa: il miracolo di Francesco.

Naturalmente, l’annuncio che l’embargo americano finirà e che il regime cubano sarà di manica più tollerante almeno con internet (perché è addirittura questo il livello di inesistente libertà di cui si parla) non bastano per parlare di svolta. E le stesse aperture diplomatiche o il concreto e non meno simbolico “scambio di prigionieri” già assicurato, sono insufficienti per poter dire “Cuba libre” senza pensare soltanto al celebre cocktail.

Ma è indubbio che la silenziosa mediazione di un Papa che conosce benissimo non soltanto l’America latina da punta a punta, ma anche il difficile – specialmente a Cuba – ruolo della Chiesa, apra uno scenario che lascia ben sperare soprattutto i cubani. Si può dire che ad aprire, in punta di piedi, il dopo Fidel, non sono stati i roboanti proclami americani, né l’inazione della lontana Europa, ma quel semplice e rivoluzionario “somos todos americanos” di un uomo venuto “quasi dalla fine del mondo”.

f.guiglia@tiscali.it 

Miracolo di Francesco a Cuba

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