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Verrà firmato il 22 aprile il protocollo tra ministero dell’Economia e Acri per la riforma delle fondazioni bancarie, dopo pre intesa già formalizzata con gli impegni da parte degli enti creditizi su modifica degli statuti e tempi e modi di cessione delle quote nelle banche.

I SI’ DELLE FONDAZIONI

Dopo l’approvazione in sede Acri, l’associazione che riunisce le fondazioni presieduta da Giuseppe Guzzetti, ogni fondazione ha discusso il documento all’interno dei propri organi. C’è stato il sì, informa ieri Marco Ferrando del Sole 24 Ore, di 85 enti su 86. Solo una fondazione, quella di Fossano, il cui consiglio ha approvato il documento tranne l’articolo 2, quello che disciplina la diversificazione del patrimonio.

I TEMI E I MODI

Dal prossimo 22 aprile, dunque, scatteranno le novità: gli enti avranno 12 mesi di tempo per modificare gli statuti e i piani di diversificazione del patrimonio; 3 anni per cedere le quote in eccesso delle banche quotate; 5 anni nel caso di banche quotate.

IL MAGGIORE EFFETTO

Le principali ricadute sugli assetti di governance delle partecipate verranno dal tetto del 33,3% (calcolato sul totale attivo) alla concentrazione del rischio su un solo emittente. Che poi è la banca conferitaria per tutti, tranne la Fondazione Crt che ha azioni Unicredit per un valore corrente di 920 milioni ma titoli Atlantia (5,1% la quota) per oltre un miliardo.

IL COMMENTO DEL CORRIERE ECONOMIA

“Difficile immaginare che si scardini la stabilità di governo delle banche, anche perché la riforma dà tre anni di tempo per rientrare sotto la soglia e 24 mesi in più se la banca non è quotata. Un atterraggio morbido, quindi”, ha scritto Stefano Righi del Corriere Economia. Atterraggio comunque non del tutto indolore se si pensa che sono sopra il tetto 14 fondazioni sulle 35 medio-grandi e 29 su 53 tra quelle con patrimonio sotto 200 milioni. Le ricadute toccano anzitutto i primi due colossi del credito, ha scritto il Corriere Economia: ”Nel libro soci di Intesa Sanpaolo la maggioranza (56%) è ormai in mano a investitori esteri ma ci sono anche 17 fondazioni con il 28% del capitale e il governo delle liste per il cda. In Unicredit gli internazionali sono al 62% ma residuano 12 fondazioni con il 10,9%, tutt’altro che ininfluenti”,

LE SIMULAZIONI SU INTESA E UNICREDIT

Chi e quanto dovrà vendere? Corriere Economia ha fatto una stima aggiornando ai prezzi di Borsa sia la quota nella conferitaria sia l’attivo: “L’impatto maggiore – ha scritto Righi – è sulla Compagnia di San Paolo, guidata da Luca Remmert, che ha una concentrazione prossima al 60% sulla quota Intesa Sanpaolo e per rientrare sotto soglia dovrebbe scendere dal 9,5% attorno al 6%. Facoltà che peraltro si è precostituita da luglio modificando i regolamenti con l’ok del Mef, l’autorità di vigilanza”.  Situazione simile per la Fondazione di Padova che ha oltre il 60% dell’attivo puntato sul 4,45% della Ca’ de Sass: dovrebbe alleggerirsi del 2% per rientrare.

Nel caso di Unicredit l’impatto potenziale è minore, anche perché alcuni enti si sono già alleggeriti. I maggiori venditori sarebbero così la Fondazione CR di Verona di Paolo Biasi (quasi 50% dell’attivo concentrato sulla conferitaria) e quella di Modena (oltre 55% tra quota diretta e tramite Carimonte). Dovrebbero alleggerirsi dell’1,2-1,3% a testa. Ma anche per loro c’è il paracadute dei tre anni di tempo

Unicredit, Intesa, Mps. Ecco le fondazioni che venderanno

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