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Trentasette arresti, cento indagati, tra cui l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno (“ne uscirò a testa alta” è stato il suo primo commento). Ecco chi c’è nella lista nera alla base dell’operazione “Terra di mezzo” che nella Capitale, secondo le accuse, si spartiva la gestione dei rifiuti, il business dei campi nomadi e la manutenzione del verde. Non solo gli arresti di Carminati (ex Nar) e Mancini (già ad Ente Eur) ma coinvolto anche Luca Odevaine, un passato in Legambiente (coordinatore volontari per l’alluvione del Po), prima di essere chiamato nel 2001 nel gabinetto di Walter Veltroni sindaco.

LE FUNZIONI DI ODEVAINE

Salvatore Buzzi, già condannato per omicidio – secondo le ricostruzioni dei pm Cascini, Ielo e Tescarol – si vantava di pagare 5 mila euro al mese a Odevaine. Quest’ultimo, ex vice capogabinetto del sindaco Veltroni, poi nominato capo della Polizia provinciale (sotto la gestione provinciale di Nicola Zingaretti), si occupava di gestire le grandi manifestazioni del Campidoglio: dai funerali del Papa fino alla lotta all’abusivismo, passando per le emergenze organizzative più diverse come i senza tetto che occuparono nel 2005 la basilica di San Giovanni. Ricorda al Fatto Quotidiano Walter Verini, all’epoca sindaco ombra di Veltroni, che Odevaine era “l’esecutore di tutte le nostre operazioni di legalità, per prenderlo in giro lo chiamavano lo sceriffo: c’era da fare uno sgombero e si chiamava Luca, c’era da abbattere un abuso e arrivava lui”.

I RAPPORTI CON CARMINATI

Il procuratore Capo Giuseppe Pignatone, tracciando la presunta cupola mafiosa scoperchiata nella Capitale, assegna non tanto a Carminati (arrestato secondo Il Fatto Quotidiano mentre si trovava a casa di Marco Iannilli, il commercialista romano condannato in primo grado per la truffa su Fastweb e Telecom Sparkle) ma soprattutto a Buzzi, un ruolo strategico: un ex detenuto che oggi controlla affari per 50 milioni grazie alla sua cooperativa aderente alla Lega delle Coop già presieduta dall’attuale ministro Giuliano Poletti. Obiettivo, il business dell’assistenza ai rifugiati legata ai campi nomadi. Che da un triennio produce lo “stipendio” di Odevaine.

LE ACCUSE

Secondo i giudici Odevaine attraversava “in senso verticale e orizzontale, tutte le amministrazioni pubbliche più significative nel settore dell’emergenza immigrati, che per non compromettere le sue possibilità istituzionali si fa cambiare il cognome a seguito di condanne riportate, circostanza di cui nessuna delle amministrazioni interessate si accorge, a differenza dell’amministrazione Usa, che gli nega il visto d’ingresso per i suoi precedenti penali”. L’episodio risale a un quarto di secolo fa con una “e” che sarebbe stata aggiunta al suo cognome al termine della vicenda giudiziaria.

LA CARRIERA 

Il 58enne iscritto in gioventù al Pci di Ponte Milvio, ha diretto la polizia, occupandosi anche di protezione civile per poi passare all’Upi, dove avvia l’imponente stagione dell’accoglienza agli immigrati. E’ stato anche consigliere del ministro dei Beni Culturali Giovanna Melandri. Secondo i pm, il sodalizio con Buzzi si ritroverebbe nelle forti pressioni per trasferire i migranti in altre strutture parallele: per questo sarebbe stato ricompensato mensilmente con i 5 mila euro. Come riportato dal Fatto Quotidiano di oggi, Odevaine decide di investire la maggior parte di quei proventi in Venezuela, paese d’origine della moglie, dove poi sarebbe stato pronto a fuggire.

IL TAVOLO 

Il perno del business dei campi nomadi si ritrova nel Tavolo di Coordinamento Nazionale, presieduto dal Ministero dell’Interno in cui, secondo le accuse contenute nelle 1200 pagine di inchiesta, svolgeva il ruolo di coordinatore proprio Odevaine. Un passaggio che rende la portata del giro di affari si ha nell’espressione usata da Buzzi nei confronti di un suo interlocutore, citata da Claudio Gatti sul Sole 24 Ore, da cui emerge che il volume di fondi statali per gli immigrati genera un profitto superiore a quello della droga. I capi di accusa dell’inchiesta sono di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, usura, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio.

IL SERVIZIO DI BECHIS

Il ritratto di Odevaine si arricchisce di nuovi particolari sul quotidiano Libero: “A Roma erano destinati 250 rifugiati. Ma il funzionario di area Pd al servizio della mafia romana li ha fatti lievitare fino a 2500 posti, in modo che almeno mille finissero nelle case accoglienza di Buzzi e della mafia romana , prendendo da loro la percentuale concordata”, ha scritto Franco Bechis riassumendo i contenuti di una conversazione che Oldevaine intrattenne con un collaboratore di Buzzi. Dettaglio che basterebbe – commenta Bechis –  per “far conoscere agli abitanti di Tor Sapienza l’alto ex collaboratore di Veltroni”.

IL QUADRO DI LIBERO

Quello dei rifugiati, degli zingari e degli immigrati – si legge su Libero diretto da Maurizio Belpietro – è un business che nasce con Alemanno sindaco e prosegue indisturbato con Marino: “Era Buzzi ad avere costruito le nuove sedi per i rom che l’allora sindaco (Alemanno, ndr) sgomberava dai vari campi”, ha sottolineato Bechis. Intercettato sotto elezioni a primavera 2013, Buzzi non sembrava poi affatto temere un cambio di maggioranza: “C’ho quattro cavalli che corrono con il Pd, poi con la Pdl ce ne ho tre e con Marchini c’ho rapporti con Luca (Odevaine, ndr), quindi va bene lo stesso”.
E fu in quella occasione – ha scritto Bechis – che Buzzi confidò al suo interlocutore dello stipendio mensile di 5 mila euro corrisposto a Odevaine.

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