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Tra le sette Agenzie nazionali già abilitate dalla Bce, i cui titoli di debito sono già da ieri “stanziabili” da parte rispettive Banche centrali, non ce n’è neanche una italiana. Neppure la Cassa Depositi e Prestiti è stata inserita nel primo elenco pubblicato il 5 marzo, in cui invece compaiono due istituzioni francesi, un istituto spagnolo e ben quattro banche tedesche.

Per capire il danno che questa omissione provoca all’economia italiana, basta leggere il comunicato della Bce che illustra gli aspetti attuativi del Programma di acquisti del settore pubblico (PSPP). Si precisa che, nel contesto della estensione del programma di acquisto di asset da parte dell’Eurosistema, annunciata il 22 gennaio 2015, gli asset acquistabili da parte delle singole banche centrali sono rappresentati da tre categorie di titoli di debito: strumenti emessi dai governi centrali dell’Eurozona, titoli commercializzati da “determinate Agenzie” nazionali, oppure infine da talune istituzioni internazionali o sopranazionali.

La Bce determina una proporzione di massima tra le categorie di titoli acquistabili da parte di ciascuna Banca centrale, che troverà come unico limite agli acquisti l’ammontare risorse attribuitogli in ragione della sua partecipazione al capitale della Bc. In ogni caso,  pur nell’ambito del benchmark così fissato, ogni Banca centrale nazionale avrà margini di flessibilità nell’acquisto dei titoli, scegliendo tra quelli emessi dallo Stato e quelli delle Agenzie che operano nell’ambito della loro giurisdizione.

La individuazione delle “determinate” Agenzie nazionali è un punto cruciale nella strategia della Bce, che ha forti analogie con la scelta che fu operata della Fed, nell’ambito del suo Qe3, di acquistare Mortgage Backed Securities solo se emessi da Agenzie federali (Fanny Mae e Freddie Mac).

Non si conoscono le ragioni che hanno portato alla mancata inclusione nell’elenco formato dalla Bce anche di una sola Agenzia italiana. A pensar male, potrebbe esserci dietro una  guerra di potere: le Agenzie avranno un potere enorme, il privilegio di vedersi acquistati i titoli direttamente dalla Banca d’Italia, acquisendo nuova liquidità da reimpiegare per finanziare ulteriori programmi di investimento. Sono macchine per fare soldi.

Non è, quindi, una questione secondaria, di bandiera, individuare una o più Agenzie nazionali: sono in gioco la effettiva capacità di far arrivare la tanto agognata ondata di liquidità direttamente all’economia reale e la scelta del canale che la farà affluire. Occorre distinguere i due aspetti del Qe, a seconda che la nuova liquidità sia utilizzata per acquistare debito pubblico, oppure  privato già emesso da una o più Agenzie. Nel primo caso si fornisce liquidità ad un operatore che detiene questi asset per via del classamento del portafoglio, operando in campo assicurativo o previdenziale, oppure ad una banca.

Quest’ultima potrebbe aver effettuato l’acquisto di titoli di Stato sul mercato primario nel periodo 2012-2013, per lucrare sugli alti interessi approfittando della liquidità immessa dalla Bce con le Ltro, oppure a partire dalla scorsa estate per parcheggiare la ulteriore liquidità fornita con le T-Ltro in attesa di impieghi nell’economia reale. Di fronte ad aste di titoli di Stato italiani che ormai da mesi offrono tassi di interesse esigui e con uno spread molto contenuto sul mercato secondario, una banca italiana non avrà verosimilmente convenienza: se vendesse i titoli di Stato ad alto rendimento, ad un prezzo superiore alla parità, perderebbe i ricchi interessi che servono per mantenere alto il margine di intermediazione; se vendesse i titoli che detiene solo come liquidità, dovrebbe ricomprarne altri con il rischio che di incassare rendimenti ancora più passi. Il Qe ha anche questo obiettivo.

Gli acquisti della Banca d’Italia potranno riguardare anche i titoli del debito privato, ma solo quelli emessi dalle Agenzie che saranno, se e quando lo saranno, designate per l’Italia. Il punto, ora, è capire se e quanto le Agenzie già individuate dalla Bce siano davvero istituzioni finanziarie controllate davvero da  capitale privato, ovvero siano emanazioni pubbliche. Per la Francia sono state individuate due istituzioni, entrambe sotto il controllo statale: la Cades dipende da ben cinque ministeri ed ha come mandato la riduzione del disavanzo dei sistemi previdenziali; la Unedic, invece, pur essendo nata come istituzione pubblica impegnata nella lotta alla disoccupazione, è divenuta indipendente pur essendo integrata nel 2009 nel Pôle emploi, l’agenzia pubblica per l’impiego. Lo stesso accade per la Spagna, visto che l’Instituto de Credito Oficial dipende dai Ministeri dell’economia e della competitività. Per la Germania, è ben nota la storia e la struttura del Kreditanstalt fuer Wiederaufbau (KfW), istituzione analoga alla nostra Cdp ma dotata di licenza bancaria, di proprietà all’80% dello Stato tedesco e per il resto dei singoli Land; la Landeskreditbank Baden-Württemberg, invece, è una banca di proprietà dell’associazione fra le casse di risparmio, il Land BW e la città di Stoccarda; la Landwirtschaftliche Rentenbank è una banca pubblica che opera nel settore dell’agricoltura e dell’agroalimentare, con sede a Francoforte;  la NRW Bank è di proprietà del Land Nord Reno–Westfalia e delle associazioni regionali di casse di risparmio, con sede a Düsseldorf.

Insomma, al Quantitative easing si sono preparati tutti per bene. Per l’Italia non è stata designata nessuna Agenzia. C’è una nuova riforma in ballo, o sono le solite guerre di potere? Ancora nessuna risposta.

Il Qe di Draghi comincia con una beffa ai danni dell’Italia?

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