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“Insufficienti risorse pubbliche per il servizio postale universale”. E’ una delle frasi pronunciate da Francesco Caio, capo azienda di Poste Italiane nominato dal governo Renzi, che ricordano nitidamente i deputati che hanno assistito di recente all’audizione parlamentare dei vertici del gruppo controllato dal Tesoro.

Risorse insufficienti nonostante i 350 milioni di euro incassati dallo Stato per il servizio universale e i ricavi complessivi del gruppo che sono aumentati del 21% tra il 2010 e il 2013. Ma la profittabilità è in contrazione, ha spiegato Caio: meno 44% l’Ebit caratteristico (ossia l’Ebit senza i proventi da operatività finanziaria BancoPosta e proventi da operazioni con la Bce).

Quindi? Quindi “va ridefinito il servizio postale universale”, ha scandito l’amministratore delegato di Poste Italiane davanti ai parlamentari. Anche perché – ha aggiunto – dal 1998 al 2013 la spesa mensile dei cittadini per i servizi postali è calata del 67% (arrivando a 2,3 euro).

La richiesta implicita che il nuovo vertice di Poste avanza al governo e al Parlamento, dopo aver accantonato la privatizzazione, è la seguente: individuare un meccanismo di “correzione automatica dei prezzi” verso l’alto in “relazione alla riduzione dei volumi”. E in questa prospettiva s’inserisce anche l’idea di Caio per un “fondo di concorrenza per gli altri operatori che beneficiano della capillarità delle Poste”. Ovvero, i concorrenti dell’ex monopolista devono rimpinguare i conti del gruppo presieduto da Luisa Todini e capitanato da Caio. Ecco cosa ne pensa il principale operatore privato che opera in Italia.

La diatriba, dunque, continua.

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