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Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il recente intervento cyber contro Daesh (il nome arabo dello Stato Islamico) da parte di Anonymous pubblicizzato in questi giorni dai mass media non è una novità per gli addetti ai lavori.

Sorvoliamo sul fatto che negli ultimi cinque anni Daesh ha portato avanti un’immensa campagna di propaganda utilizzando, nell’ordine, un giornale – Dabiq -, una tv – Al Hayat Media Center (con un logo che scimmiotta quello di Al Jazeera) – e un social network – The Dawn of Glad Tidings – che è stata un’app per qualche tempo disponibile sullo store di Google e che, oltre ad essere molto invasiva della privacy degli utilizzatori, aveva lo scopo di amplificare il messaggio di propaganda su Twitter.

Concentriamoci invece sul fatto che le capacità cyber di Daesh sono limitate e che quindi quelli di Anonymous hanno avuto gioco facile (proporzionalmente alle capacità di tale collettivo).

Questo ci porta logicamente a trarre una conclusione: davvero gli Stati (quelli veri) non avevano avuto la capacità di colpire Daesh?
In verità la questione è complessa e perciò dibattuta: eliminare la presenza sulla Rete (anche solo parzialmente) di un nemico come Daesh può essere controproducente, in quanto se ne perdono le tracce.

Nel film The Imitation Game si presenta un esempio concreto del dilemma di fronte al quale il decisore politico può talvolta essere posto: per semplificare, quante vite si salvano sacrificandone altre?

Non è questa la sede per disquisire di trolleyology. Il problema però è che in questo caso Anonymous non è un decisore politico e non è nemmeno un organismo di intelligence incaricato di analizzare la situazione. E’ legittimo perciò chiedersi se non si sia quindi arrogato una scelta che non gli compete.

È giusto che Anonymous attacchi Isis?

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