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Sergio Cofferati rispolvera le “contraddizioni in seno al popolo”, ma sa bene che non basta cavarsela con il libretto rosso di Mao. Il capo della Cgil, che nel 2002 portò due milioni di persone al Circo Massimo, riconosce la differenza abissale tra allora e oggi; una differenza tutta politica. Si tratta sempre di difendere l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma allora la piazza era contro un governo di destra guidato da Silvio Berlusconi, oggi è contro un governo di sinistra guidato dal leader del Pd Matteo Renzi. Il quale da Firenze, alla convention della Leopolda, quella che gli avversari interni chiamano il partito parallelo (il partito del capo prima ancora che della nazione), risponde per le rime.

Dietro lo scontro a distanza non c’è solo una divergenza sulle scelte del governo, né una differenza quasi antropologica (Susanna Camusso durante il corteo si è messa a sbeffeggiare Renzi cantando Super Matteo sulle note di Ufo robot); no, c’è uno scontro irriducibile che rimanda indietro nel tempo, agli spartachisti in rivolta contro i socialdemocratici al governo di Berlino, alle accuse di socialfascismo, ai massacri tra anarchici e comunisti in Spagna, ai “piselli” (Saragat e e i suoi nel dopoguerra), alle “cimici nella criniera del nobile cavallo di razza” (Togliatti contro i dissidenti anti-sovietici).

C’è, insomma, una storia che ha dilaniato “le due sinistre”, quella riformista e quella radicale, nel corso di un secolo e oltre, un retaggio di intolleranza e settarismo che impedisce alla sinistra di essere pienamente forza di governo in una società aperta e in un sistema pluralista. E’ duro da ammettere, tanto più da chi ha cantato Bandiera rossa, ma ormai bisogna parlare senza troppe sfumature.

Le colpe sono tutte da una parte, cioè la parte che sta bene soltanto all’opposizione? No, certo; gli odi si alimentano a vicenda. Ma quando la Camusso dice che Renzi è un pericolo per la democrazia non si limita a esprimere un dissenso sulla politica economica e sociale; incita i militanti della Cgil che la seguono a scendere in lotta con tutti i mezzi, visto che la democrazia resta anche per lei un valore da difendere insieme al lavoro e all’eguaglianza.

Renzi che ha chiuso le porte in faccia alla Camusso fin da quando ha messo piede a palazzo Chigi, non si è dimostrato certo cortese e tollerante, ma finora non ha mai fatto nulla di antisindacale; piuttosto vuole spezzare la cinghia di trasmissione che ha trasformato il legame con il mondo del lavoro in una catena di no e in un potere di veto corporativo e senza dubbio non democratico.

Chi ha i capelli bianchi ricorda il riformista Luciano Lama nel 1978 lapidato da Autonomia operaia all’Università di Roma perché proponeva un patto sociale con un governo non fascista, ma appoggiato dalla sinistra. Ma rammenta anche l’illusione, coltivata da Enrico Berlinguer per puro anti-craxismo, di difendere la scala mobile con l’appello diretto al popolo. Il referendum, promosso nel 1985 contro il parere di Lama, di Giorgio Napolitano e dell’ala moderata del Pci, fu una sconfitta catastrofica e fece capire a tutti che la parabola del comunismo italiano era al termine, quattro anni prima che cadesse il muro di Berlino, perché il Pci non era più in sintonia con la società nazionale.

E’ evidente che il Berlinguer del compromesso storico non può stare sullo stesso piano dei gruppettari che lo combattevano anche con le armi; ma proprio perché i soggetti sono così diversi, il paragone dimostra quanto il pregiudizio possa accecare anche i politici più sofisticati.

La sinistra di piazza S. Giovanni e quella della Leopolda hanno molte sovrapposizioni, se non altro perché i lavoratori in lotta con la Cgil hanno dato il loro voto a Renzi. Tuttavia i duellanti andranno in direzioni sempre più lontane. Non c’è nessuna possibilità che trovino un accordo, la contesa si può chiudere solo con la sconfitta dell’uno o dell’altro. Se perde la Camusso, arriverà alla testa della Cgil un leader magari altrettanto di sinistra, ma non così dogmatico e ostinato. E riaprirà i canali oggi ostruiti con la Cisl e la Uil. Se perde Renzi, la sinistra potrà dire addio alla possibilità di andare al governo, forse per sempre, certamente per un paio di generazioni.

Stefano Cingolani 

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