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Il Consiglio europeo conclusosi oggi ha sancito la spaccatura dell’Europa. Nonostante gli annunci di accordi per l’ambiente e l’ebola, il Consiglio è stato un ring nel quale la Commissione europea ne è uscita molto malconcia e ridimensionata. I governi riuniti nel Consiglio si sono riappropriati delle prerogative sovrane, dettando duramente la linea alla tecnocrazia e alla burocrazia di Bruxelles. Italia e Regno Unito hanno sparigliato le carte. Francia e Germania si mostrano concilianti. Barroso lascia con un’immagine pessima che ne conferma la sostanza. Per ora la nuova Commissione guidata da Juncker non parla, ma si annuncia già paralizzata. Il Parlamento europeo ha scoperto che la ricreazione è finita, e non può che dividersi su linee dirette dalle singole necessità della politica nazionale. Infine, la BCE entra in stallo con il deteriorarsi delle relazioni tra Draghi e Weidmann, e quindi con la Germania, ma anche tra Draghi e Yellen, e quindi con gli Usa. Insomma, per un Consiglio di mezzo Autunno è stato un disastro.

Regno Unito e Italia hanno presentato un rifiuto categorico di pagare più contributi alla Ue, come indecentemente vorrebbe la Commissione. Quest’ultima, senza vergogna ha cercato di manipolare i dati sul Pil per coprire un grosso buco di budget che ha portato al blocco dei pagamenti dei contratti di fornitura in essere. Ha presentato il “nuovo conto da pagare” il 20 Ottobre scorso. Poco importa ai tecnocrati e ai burocrati, e a tutti coloro che indirettamente beneficiano di eccessive elargizioni di danaro europeo sotto forma di contratti di servizio, che alla presentazione del budget pluriennale pochi mesi fa i governi avessero applicato un taglio secco del 20%. Tutti conniventi continuano a gestire la loro festa a spese degli altri. Non è corretto, come ha detto Renzi, che quei soldi in più richiesti andrebbero a Francia e Germania. Basta chiedere a Gianni Pittella, che di budget europeo è un mago, per sapere che quei soldi servono a coprire le spese correnti e in essere che foraggiano un microcosmo autoreferenziale di qualche migliaio di beneficiari dei ricchi contratti della Commissione. Si tratta di quella pletora di esperti e fornitori “disinteressatamente” europeisti. Finalmente la risposta è stata un sonoro NO.

È interessante che Renzi si sia accorto che la “presenza italiana a Bruxelles è insufficiente e qualitativamente inefficace”. Noi lo abbiamo scritto già nel 2006 nel volume “Le lobby d’Italia a Bruxelles”. Se aggiungiamo che il numero e il posizionamento dei direttori italiani nella tecnocrazia è sceso a tre, a nulla serve avere posizioni apicali se non si controlla la struttura. Speriamo che dopo la presa d’atto della situazione, Renzi passi anche all’azione immediata. C’è un intero mondo italiano rintanato a Bruxelles da rinnovare culturalmente e nelle sue funzioni. Al passaggio si possono anche ottenere risparmi e migliorare l’efficienza complessiva.

Dopo aver gelato Barroso e Katainen, la questione delle valutazioni sulle leggi di bilancio nazionali è stata declassificata a riunioni tecniche che si terranno prossimamente. Altro che quella ridicola litania del francese Hollande pronto a chinare il capo pur di far finta di esistere insieme alla Germania. L’Italia di Renzi, probabilmente rilanciatasi con il sostegno piuttosto esplicito (ma interessato) del Regno Unito, ha ricominciato a pensare in termini di interesse nazionale. Benissimo, ma che ci si aspetti la rappresaglia della Merkel che appena insediato Juncker rischia di colpire l’Italia e Renzi.

C’era una volta l’Europa

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