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Il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, l’ha detto stizzito: la riforma delle banche popolari “non pare ispirata da una più equa distribuzione della ricchezza”. Non è andata giù, la misura varata dall’esecutivo Renzi, pure lui cattolico d’estrazione Dc (seppur quando ormai questa era al crepuscolo).

BAZOLI DICE SI’ 

Con qualche eccezione, come dimostra il placet dato dal presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli. A giudizio del banchiere cattolico bresciano, infatti, la riforma non è affatto “un attacco del governo al modello popolare”, e sarebbe “un errore madornale” solo pensarlo. Come ha riportato Milano Finanza, per Bazoli con il provvedimento varato “è stato solo detto che il modello popolare per un numero limitato di banche forse non corrisponde più alla natura propria delle banche popolari”.

“PROVVEDIMENTO NON DEMOCRATICO” 

Tuttavia, per capire quanto il provvedimento non sia andato giù alla componente cattolica e centrista della maggioranza (il ministro Lupi è apparso contrariato e s’è detto convinto di poter “correggere gli aspetti unilaterali del decreto”), è sufficiente fare una ricerca negli archivi di Radio Vaticana. Il 21 gennaio scorso pubblicò anche sul suo sito un’intervista a Stefano Zamagni, economista e docente all’Università di Bologna. L’articolo si apriva così: “Se una banca nasce con una natura cooperativa non è democratico che il potere politico gli imponga di trasformarsi in banca per azioni”. Non democratico, quindi. “Questo provvedimento è sbagliato, perché non tiene conto del fatto che oggi, nel settore del credito, serve una competizione che sia legata più alla biodiversità che al numero di banche dello stesso tipo”.

“IL RISCHIO E’ CHE LE NOSTRE BANCHE VENGANO SCALATE DALL’ESTERO”

E sempre su Radio Vaticana, qualche giorno dopo (il 24 gennaio) veniva intervistato Gianluigi Longhi, consigliere della fondazione pontificia Centesimus Annus. A giudizio di Longhi, “in una riforma complessiva, globale, del sistema bancario, questi istituti non possono essere assorbiti sempre, anche per un problema di antitrust, dalle solite nostre big bank”. Il rischio, chiariva, è che “possano essere soggetti a future scalate o future aggregazioni di gruppi bancari esteri che in Italia si trovano un territorio molto favorevole”.

“ANOMALIA DEL MERCATO, BISOGNA ANDARE A FONDO”

Quanto all’acquisto di “ingenti quantitativi di azioni delle Popolari nell’imminenza dell’annuncio”, il consigliere della Centesimus annua spiegava che si tratta di “una anomalia del mercato, perché sembrerebbe che ci sia stato un accumulo di azioni, e quindi il beneficio è sempre rivolto allo speculatore di borsa, all’azionista, che prende prima un’azione sapendo che ci sarà un cambiamento e quindi c’è un capital gain”. Bisognerebbe “andare a fondo e verificare se c’è stata piena trasparenza delle istituzioni e se in tutto questo non ci sono state le solite fughe di notizie”.

“SE QUESTO E’ L’INIZIO, LO SCENARIO NON E’ ROSEO” 

E sempre a Radio Vaticana ha criticato il provvedimento anche suor Alessandra Smerilli, segretario del Comitato organizzatore delle Settimane sociali (organismo della Cei): “L’idea che c’è da parte del regolatore, prima di tutto a livello europeo, è di un modello unico bancario. E questo è un modello unico che per l’Italia non funziona. Soprattutto, l’Italia ha dimostrato nella sua varietà di avere retto molto meglio la crisi e di avere dato più credito rispetto ad altre nazioni”. E – aggiungeva suor Alessandra – “se questo è l’inizio di un processo, lo scenario non è roseo”.

LE CRITICHE DI AVVENIRE

Ben più esplicito era stato, in un editoriale di Avvenire del 18 gennaio, l’economista Leonardo Becchetti: “Non vogliamo credere che il presidente del Consiglio sia stato indotto a ignorare i princìpi della concorrenza, arrivando a confondere mercato e oligopoli, proprio quelli oligopoli che – come stiamo vedendo – alla fine controllano coloro che dovrebbero fare e dare regole e condizionano gli Stati”. Lo stesso Becchetti, tre giorni più tardi, scriveva che “non è un bel giorno per la democrazia economica del nostro Paese. Anche se abbiamo rischiato di peggio perché, a quanto è dato di capire, nel progetto originario si parlava di un intervento su soggetti importanti del sistema bancario italiano attraverso l’abolizione del voto capitario (una–persona–un–voto) in tutte le Banche Popolari e di Credito cooperativo. Il governo ha invece stabilito di abolirlo solo per le 10 Popolari – quotate o meno in Borsa – al di sopra degli 8 miliardi di attivo, “salvando” quindi le altre Popolari e tutte le Bcc”.

DECRETO INCOSTITUZIONALE?

A parlare di incostituzionalità del decreto è stato, sempre sul quotidiano della Cei, Giulio Sapelli, storico, economista e professore alla Statale di Milano. Dopo aver definito “grave” il modus operandi del governo, ha spiegato che “ricorrere a un decreto legge in campo economico è da regime sudamericano e non da democrazia occidentale. Ci voleva un’ampia discussione parlamentare. Io dico che su questo decreto pende addirittura il vizio di incostituzionalità”.

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