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Game changer” o ostacolo? Nelle scorse ore la pressione internazionale su Tehran è salita a dismisura. Ciò a causa del suo potenziale ruolo decisivo nel ricucire lo squarcio aperto in Irak e Siria dai jihadisti dell’Isis e all’impossibilità di esprimerlo a causa di un atteggiamento ritenuto troppo ambiguo da molte cancellerie occidentali. Se da un lato è vero infatti che la Repubblica islamica a maggioranza sciita non ha avuto difficoltà a condannare la minaccia derivante dall’avanzata dei terroristi, dall’altro è ancora un alleato “a metà” nella guerra al gruppo sunnita.

LA POSIZIONE DELL’IRAN

Per il momento i pasdaran sono presenti contro l’Isis in Irak e Siria, ma non in coordinamento con gli Stati Uniti. Non solo. Il presidente Hassan Rouhani (nella foto) ha convinto a star fuori anche gli uomini siriani di Bashar al-Assad, di confessione alawita, gruppo religioso sciita.
A sostenere l’azione americana sono invece cinque Paesi sunniti, Giordania, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Qatar, addirittura alcuni dei quali – soprattutto Riyadh e Doha – accusati di aver foraggiato gruppi come l’IS.

IL RUOLO DELLA REPUBBLICA ISLAMICA

In questo scacchiere di alleanze e delicati equilibri regionali, la partecipazione dell’Iran potrebbe essere decisiva, osservano molti analisti. In primo luogo perché contribuirebbe a lanciare un segnale di straordinaria unità dell’Islam nel contrasto al terrorismo e in particolare allo Stato Islamico. Ma soprattutto perché gli esperti credono che fenomeni come questo siano da attribuire indirettamente anche alla lotta interna tra le correnti dell’Islam. Un accordo tra l’Iran sciita e l’Arabia Saudita, principale Paese a maggioranza sunnita, già in coalizione, decreterebbe la fine di secolari contrasti, delle tensioni e di un’interpretazione distorta del Corano che sarebbe alla base dell’estremismo islamico.

IL NODO NUCLEARE

Pochi giorni fa la Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, citato dall’agenzia stampa di stato Irna aveva negato ogni collaborazione con le forze Usa e i loro alleati nelle operazioni militari contro l’Isis, spiegando che “ciò che ha spinto gli Stati Uniti a formare una coalizione internazionale contro lo Stato Islamico è la volontà di mantenere una presenza militare americana nella regione”.

In verità, secondo quanto ha svelato Reuters riportando le dichiarazioni di alti funzionari della Repubblica islamica, l’Iran è pronto a unirsi alla coalizione, ma vorrebbe in cambio più flessibilità sul programma di arricchimento dell’uranio sul quale è da tempo in corso un complesso negoziato.

LONDRA CHIAMA TEHRAN

A chiamare in causa l’Iran invitandolo ad aderire in modo più netto alla battaglia anti-Isis è uno dei Paesi più esposti in questo conflitto, il Regno Unito. Secondo il primo ministro britannico David Cameron, Tehran deve avere “l’occasione” di mostrare che “può contribuire a una soluzione” della crisi in Medio Oriente.
“I leader iraniani – ha incalzato il leader conservatore – possono fornire un contributo per vincere la minaccia” dei jihadisti dello Stato islamico.
La leadership iraniana – ha sottolineato oggi Cameron all’Assemblea generale dell’Onu – “può aiutare a rendere l’Irak più stabile e libero, e così anche per la Siria” e “se gli iraniani sono pronti a farlo, allora noi dobbiamo accogliere favorevolmente il loro coinvolgimento”, ha commentato Downing Street.

Ecco perché l'Iran non affianca Obama nei raid anti-Isis

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