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La Nota di aggiornamento del DEF 2014 apporta una rilevante modifica al sentiero programmatico di finanza pubblica. Per il 2015 l’obiettivo di indebitamento viene rivisto al 2.9% del Pil, in aumento sia rispetto al valore programmatico del DEF (-1.8%), sia al livello tendenziale a cui si arriverebbe in assenza di interventi discrezionali ( 2.2%).

La manovra per il prossimo anno, che sarà compiutamente declinata nel disegno di legge di Stabilità, ha dunque segno marcatamente espansivo (0.7 decimi di Pil). Questo significa che ci si discosta dalle prescrizioni del Fiscal compact, disconoscendo, di fatto, la immediata percorribilità del percorso di rientro richiesto dalla Commissione europea. L’aspetto importante di questa scelta è che essa non viene motivata semplicemente con la debolezza della congiuntura, ma argomentata su basi analitiche che ribaltano l’impostazione fino a oggi prevalente. Due temi, in particolare, vengono sollevati.

Il primo è il riconoscimento del vuoto di domanda aggregata che affligge l’economia europea, per la quale sembrava essere consentito parlare solo di carenze dal lato dell’offerta. Il secondo, forse il più dirompente, è la sottolineatura delle debolezze metodologiche che affliggono il calcolo dei livelli di indebitamento strutturale, ossia dell’impianto a cui è affidata la fissazione degli Obiettivi di Medio Termine previsti dal Fiscal compact.

In considerazione di questi elementi, vengono compiuti due passaggi, all’interno dei quali viene riorganizzata la politica di bilancio dall’esecutivo Renzi: il rifiuto di ricorrere a manovre restrittive fin tanto che il ciclo economico non mostri segni di solido recupero; la scelta di utilizzare come punto di ancoraggio quel 3% di massimo indebitamento sul Pil, su cui faceva perno il primigenio Trattato di Maastricht e che è certamente di più facile intelligibilità rispetto agli astrusi concetti di saldo strutturale adottati oggi nelle procedure di europee.

Quale sarà la reazione della Commissione? Probabilmente quella strettamente burocratica, che porterà a evidenziare il mancato rispetto degli impegni e a prospettare la riapertura della procedura per disavanzi eccessivi. Non riteniamo che questo sia un fattore di particolare preoccupazione. Proprio le accurate analisi svolte nella Nota di aggiornamento evidenziano infatti la bassa credibilità degli obiettivi di bilancio iscritti nel Fiscal compact e ci sembra difficile che i mercati possano adottare comportamenti penalizzanti a fronte del mancato raggiungimento di un pareggio strutturale che, nei fatti, nessuno sa cosa sia.

L’impostazione scelta dal governo non è, naturalmente, priva di rischi, il principale essendo quello di buttare il bambino con l’acqua sporca, ossia di abbandonare del tutto una disciplina fiscale che resta centrale nella formazione delle aspettative degli operatori. Si tratta, tuttavia, di un rischio di cui il governo sembra essere pienamente consapevole e che quindi non dovrebbe concretizzarsi.

Stante questa cautela, crediamo che la svolta impressa dal governo alla manovra di finanza pubblica valga finalmente a spezzare il velo di oppressione fiscale che ci accompagna dalla crisi dei debiti sovrani. Con un saldo di bilancio che ormai da tre anni non supera il livello del 3% non si può considerare la finanza pubblica come il principale problema dell’economia italiana. É giunto il momento di ricollocare al centro dell’agenda politica il tema della piena occupazione, utilizzando la
manovra di bilancio come uno degli strumenti atti a conseguire questo obiettivo. Vedremo se la Commissione sarà in grado di raccogliere questa sfida.

La svolta buona di Renzi e Padoan sul Def anti Bruxelles

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