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Ucraina anno zero. A meno di tre settimane dal terzo anniversario dell’inizio della fallita invasione scatenata dalla Russia di Putin, il miraggio trumpiano della pax americana imposta a Mosca e a Kyiv è ancora nebuloso e fa temere che prima di concretizzarsi trascorreranno altri mesi di bombardamenti e morti, in aggiunta a quelli dei 1096 giorni dei tre anni di conflitto. Il convulso scenario internazionale innescato dalla nuova amministrazione Usa rischia di complicare, invece che semplificare, l’epilogo dei combattimenti fra l’armata russa e le truppe ucraine.

Il big bang del ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, con la deportazione in catene degli immigrati clandestini, il caos dei dazi, la minaccia di invadere la Groenlandia e di riappropriarsi del canale di Panama, per non parlare della penultima “trovata” di trasformare la striscia di Gaza in una riviera turistica, rende poco credibili le iniziative per raggiungere un cessate il fuoco.

Il rimbalzo sull’Ucraina dell’ego-imperialismo di Trump, caratterizzato da un passo in avanti e due indietro, è stato finora tamponato dall’incremento del sostegno militare e dall’apporto di intelligence da parte dell’Inghilterra e dell’Europa. Mentre sottotraccia si starebbe tentando di trattare e di organizzare un vertice fra Trump e Putin che abbia uno sbocco concreto, con una sinistra coincidenza con la Monaco del 1938, quando l’allora premier inglese Chamberlain si fece ingannare da Hitler e ratificò la cessione di vasti territori della Cecoslovacchia alla Germania nazista, che poi scatenò ugualmente la seconda guerra mondiale, Keith Kellogg, l’inviato presidenziale per l’Ucraina ha reso noto che fra il 14 e il 16 febbraio condividerà con gli alleati europei il piano statunitense per porre fine al conflitto alla annuale Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera.

Sui campi di battaglia intanto si continua a morire. L’Ucraina, riporta il quotidiano inglese The Guardian, ha reso noto che da quando, lo scorso anno, ha aperto una linea informativa diretta c’è stata una recente impennata di richieste da parte di famiglie russe che cercano informazioni sui soldati dispersi. Una prova che le perdite delle truppe moscovite negli ultimi mesi sono aumentate in maniera esponenziale. Lo testimoniano le oltre 60.000 recenti richieste di notizie su militari russi dispersi. Il che dimostrerebbe come il numero reale di dispersi sia probabilmente due o tre volte superiore ai dati ufficiali, poiché non tutti i familiari hanno ancora inoltrato domande. Come riscontro alle richieste, 1.790 soldati russi sono stati identificati come prigionieri in Ucraina e 408 di questi sono stati scambiati.

Lungo le prime linee del Donbass dominano i missili ed i droni che spiano, inseguono e colpiscono, in rapida successione, imponendo un cambiamento della tattica e della strategia. I veicoli corazzati hanno un ruolo sempre più limitato. Guidati e supportati dai droni si susseguono gli assalti di piccoli gruppi di tre, quattro, cinque soldati, sospinti in avanti a ondate. La maggior parte dei quali va incontro ad una fine cruenta. Come conferma il vertiginoso aumento dei caduti.

Da ultimo il Cremlino avrebbe iniziato a selezionare gli obiettivi degli attacchi, scegliendo le località dove presume di poter fare rapidi progressi per raggiungere il requisito minimo della sedicente “operazione militare speciale” ed occupare quanta più regione del Donbass è possibile, per far valere i territori conquistati in sede di trattative.

Molto più difficile appare invece l’altro obiettivo minimo di Putin, cioè la piena ripresa del controllo della regione russa di Kursk, che l’Ucraina ha in parte invaso in profondità. Nonostante sia territorio di quella che è stata sempre evocata come l’inviolabile santa madre Russia, nel Kursk Mosca non riesce ancora a condurre una contro offensiva, anche se ha schierato una forza di 62.000 uomini integrata da combattenti nordcoreani, che dopo essere stati mandati allo sbaraglio e decimati si sono in parte arresi e in parte ritirati.

Le tattiche russe non sono dinamiche, ma stanno creando non pochi problemi all’Ucraina, scrive il settimanale britannico The Economist. Problemi di mobilitazione e di organici, perché la Russia dispone di ingenti riserve di fanteria e Kyiv no.

Mentre l’opinione pubblica internazionale dopo il successo dei negoziati impossibili di Gaza si attende sviluppi di pace in Ucraina, i segnali contraddittori dell’amministrazione Trump segnano alti e bassi e per i combattenti in prima linea ogni momento continua ad essere quello probabilmente fatale. Dopo tre anni di feroci combattimenti, non è ancora chiaro quanto e come la Russia possa continuare a attaccare in Donbass e fuggire nel Kursk. Colpire all’estero e ritirarsi sul proprio territorio.

Al Cremlino non se lo chiedono, ma rischiano di scoprire quando sarà troppo tardi che, come sosteneva lo scrittore pacifista inglese Herbert George Wells, considerato uno dei padri della fantascienza: “Se non poniamo fine alla guerra, la guerra porrà fine a noi.”

Ucraina, tre anni di guerra e il miraggio della pace di Trump

Mentre si rincorrono le voci non confermate di un incontro fra il presidente americano e Putin, dalla promessa trumpiana di far cessare la guerra in due giorni, si è passati alle settimane e probabilmente ai mesi, ma in Ucraina i cannoni sparano e i bombardamenti si susseguono più devastanti di prima. L’analisi di Gianfranco D’Anna

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