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“È un giorno straordinario per il Medio Oriente e per il mondo intero”, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, a Sharm el-Sheikh, dove insieme ai leader di Egitto, Qatar e Turchia – e accompagnato da una decina di leader internazionali – ha firmato la dichiarazione che formalizza il cessate il fuoco tra Israele e Hamas. La firma, che dà garanzie sull’intesa da parte dei quattro Paesi, è arrivata nella serata di lunedì. Prima, lo scambio di ostaggi e prigionieri — gli ultimi venti sopravvissuti israeliani rapiti da Hamas il 7 ottobre 2023, liberati in cambio di 1.968 detenuti palestinesi — ha segnato l’avvio della cosiddetta fase due del Piano di Pace per Gaza, articolato in venti punti e concepito per accompagnare il cessate il fuoco verso una pace stabile.

La cornice internazionale

Trump ha rivendicato il risultato come “la prova che la pace è possibile se si agisce con chiarezza e determinazione”. Il suo piano, annunciato a fine settembre, firmato da Israele e Hamas nel giro di una decina di giorni è implementato con la cerimonia di Sharm altrettanto rapidamente, prevede una smilitarizzazione totale della Striscia, la distruzione delle infrastrutture terroristiche e la creazione di un comitato transitorio di tecnocrati palestinesi, sotto la supervisione di un “Consiglio per la Pace” presieduto dallo stesso Trump e di cui farà parte anche l’ex premier britannico Tony Blair. “È un percorso complesso,” ha riconosciuto Trump, “ma ha cominciato a funzionare.”

Per Valbona Zeneli, nonresident senior fellow all’Atlantic Council, si tratta di “un passo significativo verso la fine della crisi umanitaria e l’inizio di un processo che deve trasformare un cessate il fuoco in una pace autentica e duratura, fondata su stabilità, governance e ricostruzione”. Secondo l’esperta, tuttavia, l’attuazione richiederà “coerenza e un impegno costante da parte del Presidente Trump, ma anche il contributo decisivo delle istituzioni europee e dei governi arabi, che dovranno esercitare pressioni su entrambe le parti perché rispettino gli impegni su disarmo e buona governance”.

Le incognite della fase due

Il nodo principale resta la demilitarizzazione di Gaza, considerata la condizione imprescindibile per l’avvio della fase di ricostruzione. “Il piano prevede che tutte le infrastrutture militari, terroristiche e offensive vengano distrutte”, osserva Zeneli commentando con Formiche.net, “e che la Striscia sia gestita temporaneamente da un’amministrazione di tecnocrati palestinesi sotto supervisione internazionale. È più facile a dirsi che a farsi”.

Il documento siglato a Sharm el-Sheikh rappresenta la cornice politica di questo processo: i Paesi garanti — Stati Uniti, Egitto, Qatar e Turchia — avranno il compito di monitorarne l’attuazione, assicurando che né Israele né Hamas violino gli impegni assunti.

L’Europa e l’Italia tra diplomazia e ricostruzione

L’Unione europea ha accolto positivamente la firma della dichiarazione, ma la sua partecipazione alla fase esecutiva resta da definire. Per Zeneli, l’Europa dovrà “sostenere la stabilizzazione e la governance della Striscia, evitando di limitarsi a un ruolo finanziario. È il momento di dimostrare coerenza tra principi e capacità di azione”.

In questo contesto, l’Italia può svolgere una funzione specifica. “Roma ha sostenuto con coerenza il piano americano, approvando in Parlamento una mozione a favore del processo di pace e ribadendo la propria adesione alla soluzione dei due Stati”, sottolinea Zeneli. “Sin dall’inizio della pianificazione economica, l’Italia dovrebbe essere protagonista in tre pilastri fondamentali: sicurezza, ricostruzione economica e infrastrutturale, e sanità”.

Tre ambiti in cui il Paese possiede esperienze riconosciute, dalle missioni di stabilizzazione ai programmi di cooperazione civile e umanitaria

L’incontro Meloni–Al Sisi e il Piano Mattei

A margine della cerimonia di Sharm el-Sheikh, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha avuto un colloquio bilaterale con il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi.

Durante l’incontro, i due leader hanno discusso i prossimi passi nella realizzazione del piano di pace e Meloni ha ribadito l’impegno dell’Italia “a contribuire alla stabilizzazione, ricostruzione e sviluppo della Striscia di Gaza” e a rilanciare un processo politico “basato sulla soluzione dei due Stati”.

La conversazione ha toccato anche le relazioni bilaterali, con particolare attenzione ai progetti del Piano Mattei nei settori della formazione, dell’energia e dell’agricoltura sostenibile.

Nel quadro più ampio, la diplomazia italiana punta a collegare l’impegno umanitario e infrastrutturale in Medio Oriente con la propria strategia euro-mediterranea, mantenendo una linea di continuità tra sicurezza, sviluppo e cooperazione.

L’Italia e la prova della coerenza

Per Zeneli, “il piano di pace di Trump rappresenta solo l’inizio di un percorso lungo e complesso. Ma l’Italia, grazie alla sua diplomazia equilibrata e alle sue capacità operative, è tra i pochi Paesi europei in grado di trasformare il sostegno politico in risultati concreti sul terreno”.

In un Medio Oriente ancora fragile, la capacità di Roma di integrare il proprio approccio politico con strumenti concreti — militari, economici e sanitari — potrebbe rappresentare una delle poche leve europee credibili per sostenere la stabilizzazione di Gaza e, in prospettiva, la sicurezza del Mediterraneo allargato.

L’Italia può avere un ruolo nella fase due di Gaza. Zeneli spiega quale

Mentre Donald Trump celebra a Sharm el-Sheikh la firma del Piano di Pace per Gaza insieme ai leader di Egitto, Qatar e Turchia, l’Italia conferma il proprio sostegno e punta a un ruolo nei tre pilastri della stabilizzazione: sicurezza, ricostruzione e sanità. “È un passo significativo verso la fine della crisi umanitaria”, spiega Valbona Zeneli dell’Atlantic Council, “ma serviranno coerenza, governance e l’impegno costante di Stati Uniti, Europa e Paesi arabi per trasformare il cessate il fuoco in una pace duratura”

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