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La John Cabot University di Roma ha ospitato, mercoledì, il “Transatlantic Dialogue: Europe’s Security Architecture in a Changing World”, un evento organizzato dal master in international Affairs, diretto dal professore Michael Driessen, in collaborazione con il Guarini Institute for Public Affairs. Al panel, moderato dalla professoressa Simone Tholens, hanno partecipato il generale Mariano Bianchi (ministero della Difesa), la professoressa Trine Flockhart (European University Institute), il consigliere Davide Bergami (ministero degli Esteri) e la professoressa Luiza Bialasiewicz (Università Ca’ Foscari di Venezia), e ha affrontato le trasformazioni della sicurezza europea e le tensioni che attraversano l’ordine internazionale.

L’incontro è stato aperto dai saluti del presidente della John Cabot, Franco Pavoncello, e del professorDriessen, seguiti dall’intervento introduttivo dell’ambasciatore Armando Varricchio, senior fellow del Guarini Institute ed ex ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti e in Germania.

“Evitare il ripiegamento nazionale”

Varricchio ha richiamato l’importanza di preservare il legame storico tra Europa e Stati Uniti, “fondato su valori democratici e sulla tutela delle libertà individuali”, e ha ricordato che la sicurezza contemporanea va intesa in senso “ampio e multidimensionale”, capace di integrare le sfide geopolitiche e climatiche.

Riferendosi alla guerra in Ucraina, ha sottolineato la necessità di una strategia europea di difesa più coesa, citando tra le principali minacce “terrorismo, traffici umani e fragilità statuali ai margini dell’Europa”. Con il progressivo spostamento dell’attenzione americana verso l’Indo-Pacifico, ha detto, l’Europa deve assumersi maggiori responsabilità all’interno della Nato, mantenendo la coesione politica come principale risorsa dell’Alleanza.

Difesa e responsabilità

Il dibattito, introdotto da Tholens, si è aperto con la riflessione del generale Mariano Bianchi sul significato dell’aumento della spesa militare italiana. Più che una “benedizione o un problema”, ha detto, si tratta di una questione di responsabilità, articolata su tre piani: operativo, industriale e finanziario.

Bianchi ha sottolineato come la guerra in Ucraina abbia riportato la near-peer competition sul continente europeo, imponendo un cambiamento dottrinale verso infrastrutture difensive pesanti e sistemi dual use. Ha insistito sull’importanza della logica di mercato e della coerenza regolatoria, ricordando che “l’adattabilità tecnologica è più urgente dei grandi programmi pluridecennali”.

Ha poi distinto due fronti strategici europei: quello orientale, che richiede capacità convenzionali di deterrenza, e quello meridionale, dove la sicurezza passa per l’integrazione civico-militare e la prontezza mediterranea. “Gli Stati Uniti non stanno abbandonando la Nato”, ha aggiunto, “stanno riequilibrando la propria postura globale”.

Fiducia e autonomia strategica

La professoressa Luiza Bialasiewicz ha analizzato la crisi di fiducia all’interno del mondo transatlantico, ricordando come le tensioni emerse dopo il ritiro dall’Afghanistan abbiano rivelato la distanza tra ideali politici e realtà operative.

Secondo Bialasiewicz, l’autonomia strategica europea sta guadagnando spazio ma rimane ostacolata da profonde divisioni sulle percezioni di minaccia. L’Europa, ha detto, “si sta trasformando da alleanza difensiva a fornitore di sicurezza”, un passaggio che richiede consenso politico e immaginazione strategica.

Sovranità economica e innovazione tecnologica

Il consigliere Davide Bergami ha spostato il focus sull’economia della difesa e sulla necessità di proteggere gli asset strategici nazionali. Le esportazioni, ha ricordato, restano motore dell’economia italiana, sostenute da una diplomazia “che accompagna le imprese sui mercati globali”.

Bergami ha sottolineato la centralità dell’intelligenza artificiale per la produttività e la competitività industriale europea, invitando gli Stati a “sostenere le filiere nazionali con politiche di investimento mirate”. Ha citato come esempio la crescita di investimenti esteri in Italia, in particolare da parte di fondi europei e statunitensi, e il ruolo della modernizzazione industriale come pilastro della resilienza strategica.

Un mondo a più ordini

A chiudere il dibattito è stata la professoressa Trine Flockhart, che ha descritto il contesto globale come un “multiorder world”, un sistema composto da più ordini parziali: quello liberale guidato dagli Stati Uniti, quello infrastrutturale promosso dalla Cina attraverso la Belt and Road, e quello coercitivo russo in Eurasia.

In questo scenario, ha osservato, il potere non basta: contano le relazioni e le norme che rendono un ordine legittimo e resiliente. La crisi dei valori liberali negli stessi Stati Uniti, erosa dal populismo e dalla polarizzazione, obbliga l’Europa a ripensare la propria posizione.

Flockhart ha delineato due possibili futuri: un ordine liberale senza gli Stati Uniti, fondato su alleanze con Canada, Australia e Nuova Zelanda, oppure un’Europa frammentata, indebolita da populismi e perdita di coesione. “Il rapporto transatlantico”, ha concluso, “non potrà più basarsi sulla fiducia, ma su interessi complementari e su nuove forme di cooperazione”.

Un momento di riflessione strategica

Il Transatlantic Dialogue ha mostrato un’Europa in fase di introspezione strategica. Dall’appello di Varricchio alla coesione all’avvertimento di Bialasiewicz sulle divisioni interne, dalla visione di Bianchi sulla responsabilità alla prospettiva economica di Bergami, fino alla lettura sistemica di Flockhart, il messaggio comune è chiaro: l’Europa deve agire ora, costruendo una vera autonomia strategica senza rinunciare al legame transatlantico, investendo in innovazione, interoperabilità e credibilità politica in un mondo sempre più plurale e incerto.

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