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Gli Stati Uniti stanno spingendo sull’acceleratore per esportare i loro sistemi d’arma all’estero. Al Congresso è infatti in corso il tentativo più ambizioso degli ultimi decenni di aggiornare le regole sull’export militare, con l’obiettivo di rendere più “appetibili” gli armamenti made in Usa per i partner di Washington. Questo riguarda in particolar modo gli Alleati europei, chiamati a rimpinguare gli arsenali svuotati dal sostegno a Kyiv e a rispettare i nuovi target di spesa fissati dall’Alleanza Atlantica al summit dell’Aja. Con questa mossa, Washington mira a restare il principale fornitore di sicurezza per gli Stati europei.

La partita a Capitol Hill

A guidare il processo è Brian Mast, deputato repubblicano della Florida vicino a Trump. È lui a spingere per trasformare in legge l’ordine esecutivo varato da Donald Trump per snellire i tempi dei trasferimenti di tecnologie e assetti militari all’estero. Ma il percorso è tutt’altro che lineare. Il Congresso non approva una riforma organica del Dipartimento di Stato (necessaria in questo caso) da almeno vent’anni e i democratici promettono di innalzare le barricate per garantire che il controllo parlamentare sull’export rimanga serrato. Emblematica in questo senso è la proposta di Ryan Zinke, deputato repubblicano del Montana, che chiede di alzare la soglia oltre la quale una vendita deve essere notificata e approvata dal Congresso da 25 a 105 milioni di dollari. Una modifica che snellirebbe sì i tempi, ma che ridurrebbe la discrezionalità di Capitol Hill sui rapporti commerciali strategici. Mast conta di portare il pacchetto in aula entro l’autunno, con l’idea di negoziare successivamente con il Senato e, in ultima istanza, di far confluire la riforma nella legge annuale sulla difesa — il National Defense Authorization Act — che tradizionalmente rappresenta il contenitore legislativo più idoneo per iniziative di questo tipo.

Una risposta a Merz?

È probabile che a contribuire l’accelerazione su questo dossier sia stata la decisione tedesca di destinare solo una quota minima dei finanziamenti per la Difesa all’acquisto di armi americane. Come riportato da Politico, degli 83 miliardi di euro stanziati per il procurement di nuovi sistemi d’arma nel periodo 2025-2026, solo 6,8 (pari all’8 % del pacchetto) sarebbe destinato a finanziare l’acquisizione di piattaforme e sistemi made in Usa. La porzione destinata all’industria americana include contratti per i missili del sistema antiaereo Patriot e armamenti per gli aerei da pattugliamento marittimo P-8A, ma resta una fetta estremamente ridotta del bilancio rispetto alle commesse rivolte ai produttori europei. Al contrario, è proprio nei confronti di questi ultimi che Berlino ha deciso di dirigere gli ordini più ingenti. Navi da guerra, aerei, veicoli terrestri e nuove famiglie di missili a lungo raggio made in Europe avranno infatti la priorità, mentre gli ordini verso gli Usa riguarderanno prevalentemente il munizionamento per sistemi americani già in possesso della Bundeswehr.

Gli Usa accelerano sulla riforma dell’export militare per intercettare il riarmo europeo. I dettagli

Gli Stati Uniti vogliono rendere più semplice e veloce la vendita di armamenti Made in Usa a partner e Alleati, soprattutto in Europa. A Capitol Hill i repubblicani spingono per alleggerire i controlli, mentre i democratici temono di perdere margini di supervisione parlamentare sulle vendite all’estero. Sullo sfondo, la corsa degli Alleati per ricostruire gli arsenali, ma anche la scelta di Berlino di privilegiare i fornitori europei rispetto a quelli americani

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