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No, stavolta non è né un buffetto né tanto meno un pizzicotto. Ma una zampata in piena regola. La Cina chiude i rubinetti delle terre rare, lasciando il mondo a secco di minerali critici. O meglio, parte del mondo, dal momento che gli Stati Uniti si stanno debitamente attrezzando e non certo da ieri. Domanda, Pechino può farlo? Risposta, certo che sì. Oggi il Dragone è padrone del 70% delle miniere globali, dunque la mano sulla leva del freno di emergenza è la sua. Il ministero del Commercio cinese ha annunciato che imporrà misure di controllo delle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare, con effetto immediato “per salvaguardare la sicurezza e gli interessi nazionali”.

I seguenti prodotti, si legge in un comunicato del ministero, non possono essere esportati senza autorizzazione. Tra questi, tecnologie e vettori relativi all’estrazione, alla fusione e alla separazione delle terre rare, alla fusione dei metalli, alla produzione di materiali magnetici e al riciclaggio e all’utilizzo di risorse secondarie di terre rare. Ma anche tecnologie relative all’assemblaggio, alla messa in servizio, alla manutenzione, alla riparazione e all’ammodernamento di linee di produzione per l’estrazione, la fusione e la separazione di terre rare, la fusione dei metalli, la produzione di materiali magnetici e il riciclaggio e l’utilizzo di risorse secondarie di terre rare. Gli esportatori che operano in questi ambiti, sia cinesi, sia stranieri, dovranno, dunque, richiedere una licenza di esportazione dual use al ministero del Commercio prima di esportare.

E adesso? Formiche.net ha chiesto un parere ad Alberto Prina Cerai, analista dell’Osservatorio Geoeconomia dell’Ispi. Oltre alla prevedibile impennata dei prezzi delle materie prima critiche, “le nuove misure di controllo alle esportazioni di materiali, componenti e tecnologie per la processazione di terre rare certificano l’oramai conclamata weaponization (trasformare in arma le catene di approvvigionamento, ndr) dell’industria. Da lato cinese, alle già presenti misure di export control in vigore da aprile di quest’anno, che avevano colpito in particolare l’esportazione di magneti che contenessero quantità minime, ma significative, di materiali magnetici verso industrie legate a settori ritenuti un rischio per la sicurezza nazionale cinese, si aggiungerà il divieto esplicito di esportazione verso aziende o industrie che abbiano un legame con il settore militare (i magneti NdFeB ad alte performance sono utilizzati in più sistemi d’arma)”.

Non è finita. “Ci sono due elementi di novità ancora più importanti: le tecnologie per l’estrazione, la processazione, la separazione e metallizzazione delle terre rare (ovvero i sue step più critici per l’emergere di una filiera alternativa alla Cina) e il relativo know-how (tra cui software e sistemi per la manutenzione degli impianti) saranno sottoposti a scrutinio per l’export, così come ricadranno sotto il regime di controllo anche i prodotti al di fuori della Cina che contengano materiali cinesi o prodotti con tecnologia cinese. Un regime di controlli che in qualche modo si specchia, per la profondità e l’extraterritorialità, a quello imposto dagli Usa sui semiconduttori avanzati”, spiega l’esperto.

Il quale ricorda come “l’annuncio precede di qualche settimana l’incontro previsto tra Trump e Xi Jinping all’Apec, in Corea del Sud: un segnale che Pechino vuole mettere massima pressione sugli Stati Uniti in previsione dell’incontro, così come fatto poco prima della rinegoziazione dei dazi. Da lato americano e occidentale, questa decisione del ministero del Commercio cinese rappresenta inoltre un tentativo di scardinare o frenare il tentativo di decoupling messo in atto, con nuovi investimenti lungo la supply chain per sganciarsi dalla Cina per lo meno sui super-magneti”.

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