Pechino ha scelto il giorno del 75º anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, coincidente anche con l’anniversario della creazione delle relazioni diplomatiche tra Russia e Cina, per annunciare un evento di rilevanza simbolica e strategica: per la prima volta nella storia, la Cina ha inviato un’unità della Guardia Costiera nell’Artico per operazioni di pattugliamento congiunto con la Russia. Un’iniziativa che riflette le ambizioni di Pechino nella regione e il pragmatismo di Mosca nell’accettare una crescente presenza cinese in un’area tradizionalmente sotto la sua influenza.
L’attività congiunta è avvenuta nella regione del Mar di Bering, dove navi cinesi e russe hanno solcato insieme uno degli stretti più strategici del pianeta, che divide l’Alaska dalla Russia. La notizia è stata riportata dalla CCTV, l’emittente statale cinese, e confermata dalla Guardia Costiera degli Stati Uniti, che ha osservato con preoccupazione questa cooperazione marittima in un’area di crescente importanza geopolitica. Tuttavia, il governo russo non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali, mantenendo un basso profilo diplomatico.
Storicamente, le operazioni della Guardia Costiera sono legate al mantenimento dell’ordine e alla tutela delle leggi in ambito marittimo, ma la Cina ha dimostrato come questo corpo possa essere utilizzato anche per avanzare le proprie rivendicazioni geopolitiche (e avanzarle nel modo più prepotente possibile: considerare già concluse le dispute in corso, al punto di bypassare sentenze di arbitrati internazionali e muoversi come se certi territorio fossero di propria sovranità). Nel Mar Cinese e nello Stretto di Taiwan, la Guardia Costiera Cinese è stata già usata come un mezzo per consolidare il controllo sulle acque contese, a volta abbinata a mezzi militari veri e propri, ma in generale utilizzata per compiere attività di law enforcement anche in territori al di fuori della giurisdizione di Pechino. La scelta di inviare un’unità di pattugliamento nell’Artico risponde a una logica simile: attraverso la presenza marittima, la Cina cerca di legittimare la propria influenza in una regione che, pur non essendo parte delle sue acque territoriali, rientra nella sua visione strategica a lungo termine. E intende far sapere che eserciterà controllo sulle rotte marittime che vi si svilupperanno.
La Cina si è infatti autodefinita una “nazione vicina all’Artico” (near-Arctic state), una formula che le permette di rivendicare un ruolo legittimo nelle discussioni sul futuro economico e politico dell’area. Questo status, esasperato nell’invio della Guardia Costiera, suggerisce che Pechino stia cercando di replicare nell’Artico il modus operandi usato altrove, segnando la sua presenza anche con operazioni di law enforcement che hanno anche un evidente sottotesto geopolitico.
La Russia è, geograficamente e storicamente, uno degli attori principali dell’Artico. Tuttavia, l’invasione su larga scala dell’Ucraina e il conseguente isolamento economico e politico imposto dall’Occidente hanno ridotto significativamente la capacità di Mosca di mantenere una leadership incontrastata nella regione. Questo ha aperto la strada a una maggiore cooperazione con la Cina anche in questo territorio teoricamente di competizione. Pechino sta rafforzando il suo interesse strategico per le rotte marittime e le risorse naturali che potrebbero essere accessibili con lo scioglimento dei ghiacci.
Questa operazione di pattugliamento fa infatti parte della più ampia strategia cinese di creare una “Polar Silk Road”, un’iniziativa che integra il progetto della Belt and Road, con l’obiettivo di aprire nuove rotte commerciali che riducano la dipendenza della Cina da chokepoint strategici come lo Stretto di Malacca. Con lo scioglimento dei ghiacci, la Cina punta a stabilire una presenza duratura nell’Artico, utilizzando non solo la sua guardia costiera ma anche rompighiaccio e spedizioni scientifiche per legittimare la sua influenza.
La US Coast Guard ha dichiarato che l’attività recente riflette “il crescente interesse nell’Artico da parte dei nostri concorrenti strategici”, lasciando intendere che Washington è ben consapevole dell’espansione cinese. Gli Stati Uniti si sono recentemente trovati in una posizione di momentaneo svantaggio operativo: uno dei loro rompighiaccio principali, l’Healy, ha dovuto abortire una missione artica a causa di un incendio a bordo, mentre l’altro rompighiaccio, il Polar Star, è attualmente in riparazione. È una condizione recuperabile, ma intanto apre spazi alle attività dei rivali. Differentemente, la Cina ha da poco ampliato la sua presenza nell’Artico inviando tre rompighiaccio, tra cui lo Xue Long 2, che ha trascorso settimane a esplorare le acque a nord dell’Alaska.
In questo contesto, il pattugliamento congiunto sino-russo nell’Artico rappresenta una mossa pragmatica e opportunistica (anche se non è possibile sapere se collegata alla situazione dei due mezzi americani). Sempre di pragmatismo si parla nell’analizzare la posizione russa, che accetta di condividere un’aliquota della sua influenza con Pechino pur di garantirsi spazi di prelazione sullo sviluppo delle rotte artiche. La debolezza russa, accentuata dall’incertezza in Ucraina (che più avanti potrebbe avere ricadute anche sulla leadership), lascia poche alternative a Mosca, che vede nella Cina un partner indispensabile per lo sfruttamento dell’Artico futuro.
Il pragmatismo russo nella cooperazione artica è strettamente legato alla sua dipendenza economica dalla Cina, accentuata dalle sanzioni imposte dall’Occidente a seguito dell’invasione dell’Ucraina. Mosca, che storicamente ha considerato l’Artico una sua esclusiva sfera d’influenza, si trova oggi costretta a condividere questa regione con Pechino, che ha il capitale e la capacità di investire nello sviluppo di rotte marittime e infrastrutture artiche. Per la Russia, questo significa accettare un compromesso per mantenere una presenza nella regione.
D’altronde l’Artico, con le sue potenzialità commerciali, diventa sempre più importante in un contesto globale caratterizzato dall’instabilità geopolitica, che ha diretti effetti sulla fluidità geoeconomica. Gli attacchi degli Houthi alle rotte indo-mediterranee del Mar Rosso e la guerra in Medio Oriente (che per esempio sta rallentando il progetto Imec), stanno rendendo insicure le tradizionali vie di collegamento tra Europa e Asia. In questo contesto, la Cina potrebbe vedere l’Artico come un’alternativa a lungo termine, una via sicura per garantire il flusso commerciale tra Europa e Asia, entrando nell’Unione dai porti del nord, senza dover dipendere dalle rotte che attraversano il Mediterraneo e il Medio Oriente, sempre più vulnerabili a conflitti regionali e oggetti del rafforzamento del Fronte Sud della Nato.
Russi e cinesi rimangono in apparenza immobili di fronte alla destabilizzazione delle rotte meridionali, anche perché potrebbero vedere nella crisi una finestra di opportunità. Il pattugliamento congiunto nell’Artico, in questo senso, non è solo un atto simbolico di cooperazione, ma parte di un progetto per una rotta alternativa che potrebbe diventare cruciale in futuro.
Ad agosto, Pechino e Mosca hanno ulteriormente rafforzato la loro cooperazione con la firma di un accordo volto a sviluppare le rotte artiche, con l’obiettivo di creare nuove vie commerciali che possano collegare Europa e Asia attraverso il Circolo Polare. Questo accordo, firmato dal premier cinese Li Qiang e dal primo ministro russo Mikhail Mishustin, rappresenta una pietra miliare nella creazione di una rotta commerciale alternativa a quelle tradizionalmente soggette a conflitti e instabilità geopolitica.
Il futuro dell’Artico sta diventando sempre più centrale nelle dinamiche geopolitiche globali. Con lo scioglimento dei ghiacci e la crescente militarizzazione della regione, l’Artico si sta trasformando in un campo di battaglia strategico dove la Cina e la Russia stanno cercando di stabilire una presenza dominante. Mentre gli Stati Uniti sono costretti a recuperare terreno, l’espansione cinese e la dipendenza russa promettono di rendere questa regione una delle più rilevanti nei decenni a venire, ridefinendo gli equilibri globali di potere e le rotte commerciali tra Europa e Asia.
(Foto: China Coast Guard)