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I mercati hanno festeggiato l’accelerazione in Usa nella creazione di nuovi posti di lavoro, ma non hanno notato come questa stia avvenendo solo nel part time (che serve tra l’altro ad aggirare i costi e gli obblighi dell’Obamacare). Questi impieghi sono retribuiti poco sopra i sussidi di disoccupazione e la fiscalità negativa che si vanno a perdere rientrando nel mondo del lavoro. Generano quindi pochi consumi aggiuntivi e non danno quella sensazione di solidità e fiducia che può indurre a chiedere un mutuo per farsi una casa.

I DUE LATI DELL’OCCUPAZIONE

I mercati tendono anche a dimenticare che l’occupazione ha due lati. Da una parte, quella macroeconomica, Krugman ha ragione quando afferma che un sottoccupato malpagato è comunque più produttivo di un disoccupato. Dal lato delle imprese un occupato assunto in una fase alta del ciclo (con meno cautele di quelle usate in tempi di crisi) è però un costo che tende a erodere i margini.

IL CICLO ESPANSIVO AMERICANO

La bassa crescita della produttività, le prime tensioni sul mercato del lavoro, l’avvicinarsi veloce del pieno impiego, l’uscita dal mercato del lavoro di una quantità continuamente crescente di anziani e il ridotto ingresso degli immigrati non sono ancora fattori in grado di provocare la fine del ciclo espansivo americano. La vita di questo ciclo è ancora molto lunga (almeno altri tre-quattro anni, probabilmente) ma appare oggi meno estesa di quello che si pensava ancora tre mesi fa. E anche meno intensa, almeno fino a quando le imprese non si decideranno a investire in produttività e non solo in azioni proprie.

LA SITUAZIONE EUROPEA

L’Europa non è certo a rischio di surriscaldamento, se non in alcune aree dell’economia tedesca. Il fatto però che non ci siano moltitudini di giovani europei disoccupati che vogliano fare i camionisti in America (che dal canto suo non vuole molti immigrati) dimostra che i mercati del lavoro rimangono pesantemente segmentati. Il grande serbatoio della disoccupazione globale è in realtà un insieme di piccoli laghi regionali che non comunicano tra loro come dovrebbero. Anche questo, nel tempo, abbassa la produttività del sistema. Il rischio europeo non è dunque il surriscaldamento ma una lenta asfissia. Il modello tedesco per l’Eurozona non è cambiato e lo sconsolato Praet, membro belga della Bce, afferma che siamo allo stesso punto di un anno fa.

LA BCE

Le grandi manovre della Bce non riescono a indebolire l’euro (per il quale c’è ancora da smaltire una forte domanda arretrata delle banche centrali asiatiche che lo vogliono reinserire nelle loro riserve) e bastano appena a riportare la base monetaria al livello di due anni fa.

LE BORSE

I bond e le borse non sembrano particolarmente preoccupati della situazione generale. I bond si mostrano indifferenti all’inflazione perché hanno visto i prezzi al consumo giapponesi salire in un anno di due punti percentuali (senza contare l’aumento dell’Iva) e i Jgb decennali rimanere praticamente immobili. Ironicamente, dopo che da due anni si è raccomandato in tutto il mondo di non spingersi su scadenze lontane, sono proprio i titoli a 12-24 mesi quelli che rischiano di più (nell’area dollaro) nel prossimo futuro. Le borse, dal canto loro, possono ancora contare su una certa crescita degli utili (più finanziari che operativi, ma in questa fase va bene lo stesso) e non sembrano troppo turbate dai moniti delle banche centrali a non eccedere, che per il momento suonano benevoli e inoffensivi. Il diabolico Birinyi, che ne sbaglia pochissime, prevede 2100 per l’SP 500 di fine anno.

L’autunno porterà un minimo di turbolenza ma non sarà necessariamente il classico momento fatidico in cui le borse si accorgono dell’imminente aumento dei tassi e reagiscono male. Quel momento verrà, ma più avanti.

(estratto di una analisi più ampia che si può leggere qui)

Lo sapete che l'Europa rischia l'asfissia?

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