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I sindacati dei lavoratori, se vogliono svolgere un ruolo di protagonisti del cambiamento uscendo da quello di comparse in cui rischiano di essere confinati, devono adottare un approccio diverso da quello tradizionale.

Non è più il tempo di una concertazione dietro cui si agitava spesso il drappo rosso dello sciopero generale per affermare una sorta di diritto di veto. Sono passati ormai più di quarant’anni da quando Mariano Rumor si dimise da Capo del Governo dopo l’annuncio dello sciopero generale da parte di CGIL,CISL e UIL.

ANTAGONISMO V/S PARTECIPAZIONE

Occorre abbandonare definitivamente la cultura dell’antagonismo per approdare a quella della partecipazione e della premialità, che si realizza attraverso la sperimentazione e la verifica. Senza crescita non c’è certezza di mantenere né il lavoro né il welfare. L’unica garanzia reale per lo sviluppo è un forte ricupero di competitività sui mercati che è frutto dell’efficienza dell’intero “Sistema Italia”. Per questo è prioritario costruire un modello contrattuale unico per il privato e per il pubblico che privilegi la contrattazione decentrata nei luoghi di lavoro e favorisca uno scambio tra qualità e quantità dei prodotti e dei servizi da una parte e una maggior retribuzione dall’altra.

TASSAZIONE AGEVOLATA

Per questo è essenziale potenziare ed estendere la tassazione agevolata del salario di produttività contrattato in sede aziendale a tutto il mondo del lavoro. In questo ambito fa da sfondo il durissimo scontro sull’articolo 18 che ha ormai assunto un significato tutto politico. Paradossalmente, se si considerasse davvero prioritaria la lotta alla precarietà, l’articolo 18 dovrebbe essere modificato su richiesta del sindacato per limitare il reintegro ai soli casi di discriminazione, come del resto fu proposto nel 1985 con un documento elaborato da Gino Giugni e approvato, in sede CNEL, da CGIL, CISL e UIL (segretari Lama, Marini, Benvenuto) con un incredibile voto contrario (e isolato) della Confindustria. Invece la FIOM minaccia l’occupazione delle fabbriche facendo rivivere una tragedia sotto forma di farsa.

LA COSTRUZIONE DI UNA POLITICA DEL LAVORO

E’ tutta da costruire una efficace politica attiva del lavoro prefigurata dal contratto a tutele crescenti che realizzi un modello di garanzia del reddito accompagnato da progetti formativi per figure professionali spendibili sul mercato e da contratti di ricollocazione che riducano l’assistenzialismo improduttivo. I sindacati nel loro insieme, così come le imprese, sono chiamati ad una sfida in cui è in gioco il futuro del paese e in cui l’esercizio del ruolo è strettamente legato alle responsabilità da assumere. La legittimità della rappresentanza deve rispondere a chiare regole di accertamento della rappresentatività di tutte le parti sociali in campo. Tali regole possono essere il frutto di accordi sottoscritti tra le stesse parti sociali nella loro autonomia che vengono recepiti per legge giacché il ruolo delle parti sociali entra necessariamente in una dimensione istituzionale.

IL SINDACATO GUIDI IL CAMBIAMENTO

Il sindacato è sempre in condizione di ricuperare il consenso perduto ma deve guidare il cambiamento e non subirlo. Del resto l’intensa attività di contrattazione nelle imprese che costano sacrifici ma salvano i posti di lavoro, distante anni luce dalle incredibili vicende del Teatro dell’Opera di Roma, danno il segno della presenza diffusa di dirigenti sindacali di alta professionalità che gestiscono gli inevitabili conflitti ma vivono l’impresa come un bene comune.
Se vorrà rinnovarsi e riconquistarsi un ruolo il sindacato dovrà ripartire dalle strutture territoriali dei sindacati di categoria e sui delegati delle più importanti aziende perché è in questa dimensione che si ritrova il maggior potenziale di sviluppo della contrattazione e si può selezionare il gruppo dirigente del futuro.

UN MODELLO DI DEMOCRAZIA

Il modello di democrazia è l’altra grande sfida. Dopo il ‘68 ha ripreso inevitabilmente spazio la democrazia delegata ma i processi decisionale si sono via via accentrati ai livelli nazionali. Oggi è necessaria una vita democratica più intensa che chiami alla responsabilità diretta lavoratori e delegati e affidi loro compiti essenziali per farne crescere il livello di consapevolezza. Anche per la “base” il potere non può essere disgiunto dalle responsabilità. Poco tempo fa alla Malpensa di Milano un buon accordo è stato respinto perché un numero importante di lavoratori non ha partecipato al referendum. Ma pochi giorni dopo, di fronte al rischio dei licenziamenti, la maggioranza assoluta dei dipendenti ha sottoscritto un documento di adesione legittimando l’intesa rifiutata.

RAPPRESENTANZA

Va dato atto alle confederazioni di avere affrontato il tema della rappresentanza e della rappresentatività con un approccio chiaro che va portato a conclusione. Il superamento del principio della pariteticità e l’accertamento oggettivo degli iscritti apre la via all’applicazione dell’articolo 39 della Costituzione che, è bene ricordare, riconosce la contrattazione del sindacato come fonte di produzione giuridica. Fermo restando il principio del pluralismo sindacale ognuno conterà per quello che rappresenta. In generale le decisioni più importanti dovranno essere assunte dai lavoratori che dovranno diventare protagonisti effettivi anche nella gestione dei numerosi Enti e Fondi di natura bilaterale che rappresentano un moderno “Welfare integrativo” al quale si debbono chiedere sempre migliori prestazioni.

QUALCHE DOMANDA

Qualche domanda sarebbe opportuna. La procedura adottata per approvare una piattaforma od un accordo sarà la stessa per la dichiarazione di uno sciopero? Lo sciopero è un diritto soggettivo ad esclusiva discrezione del singolo lavoratore o piuttosto un diritto individuale che viene esercitato collettivamente? Al di là delle regole che disciplinano lo sciopero nei servizi pubblici, non è opportuno riflettere su una applicazione dell’articolo 40 della Costituzione che attribuisca prima di tutto all’insieme dei lavoratori interessati l’ultima parola sullo sciopero? Non è più il tempo in cui un gruppo ristretto di dirigenti possa decidere per tutti l’astensione dal lavoro in una azienda o uno sciopero generale: occorre adottare una procedura formale che coinvolga tutti i lavoratori come il referendum. Ciò impone contestualmente di affrontare in maniera meno rituale e superficiale il tema della partecipazione che dovrebbe invece costituire il punto di forza della nuova strategia sindacale, dando gambe all’articolo 46 della Costituzione che oggi è una pura norma programmatica.

L’UNITÀ SINDACALE

Lo stesso tema dell’unità sindacale deve tornare ad essere protagonista del dibattito e trasformarsi in un progetto visibile. Ben difficilmente oggi potrebbe realizzarsi il modello di unità organica tra CGIL, CISL e UIL così come fu concepito negli anni ‘70. Non solo e non tanto per la presenza di altre organizzazioni che, pur a macchia di leopardo, hanno conquistato una certa rappresentatività. Una fusione porterebbe come conseguenza un difficile riassetto dei gruppi dirigenti. E’ più praticabile un’aggregazione federativa delle realtà esistenti sulla base della reale rappresentatività di ciascuno, che decida anche a maggioranza e a condizione di assumersi le responsabilità che derivano.

Non un sindacato unico ma una pluralità di soggetti autonomi che si ritrova nell’unità delle regole convenute tra i medesimi e trasformate in legge.

sindacati

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