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L’interscambio tra Italia e Cina è ancora lontano dal livello di altri Paesi manifatturieri come la Germania, eppure tra gli addetti ai lavori c’è la percezione che la visita del premier cinese Li Keqiang rappresenti una sorta di turning point nei rapporti bilaterali, che potrebbe aprire anche alla cessione di infrastrutture strategiche.

Questo slancio, commentato negativamente da alcuni analisti, è conseguenza dei tanti accordi siglati in queste ore, circa 20; delle intese passate, come l’entrata di State Grid in Cdp Reti e dunque in Snam e Terna; ma anche dello sforzo cinese di rafforzare il suo soft power, ancora troppo debole per contrastare efficacemente il predominio politico e monetario americano.

Aspetti commentati in una conversazione con Formiche.net da Alberto Forchielli, socio fondatore di Mandarin Capital Partners, il più grande fondo di private equity sino-europeo, e Osservatorio Asia, centro di ricerche non-profit.

Forchielli, come si concilia la forte intesa con la Cina con il sostegno incondizionato di Matteo Renzi al Ttip? L’eclettismo renziano ricorda un po’ quello di Berlusconi, amico contemporaneamente di Bush e di Putin?

In questo doppio percorso intrapreso da Renzi non ci vedo nulla di strano. Viviamo in un mondo interconnesso, dove tutti cercano di attrarre investimenti o di esportare le loro merci. Anche gli Usa stessi fanno affari con la Cina, non vedo perché non dovremmo farlo noi.

Riccardo Monti dell’Ice ha detto al Sole 24 Ore che con gli accordi appena firmati con la visita in Italia del premier Li Keqiang, l’export della Penisola verso la Cina raddoppierà in 4 anni.

Questo è un bene ovviamente, così come lo è il fatto che il vertice euro-asiatico, l’Asem, si svolga in queste ore a Milano. Pur non decidendo nulla di rilevante, il summit servirà a fare networking. E dobbiamo approfittarne perché siamo in netto ritardo in Asia e sovraesposti in un mercato asfittico come quello europeo. È la prima visita di un premier cinese in Italia negli ultimi quattro anni. Un po’ poco, rispetto a quanto accade con altri Paesi, come la Germania.

Tornando agli accordi recenti, l’analista Giuliano Noci, sempre sul Sole 24 Ore, dice che le economie italiana e cinese sono complementari dunque perfette per fare affari reciproci. Che ne pensa?

Ormai il meglio del nostro sistema produttivo è già sfuggito dalle nostre mani. In questo gli americani hanno un modello diverso di business, acquistano le eccellenze, cosa che spesso hanno fatto anche qui. Invece i cinesi pescano a strascico, prendono quasi tutto, anche aziende decotte. Se devono fallire, è benefico che le acquisti qualcuno, anche Pechino. Però ormai sono quasi tutte in difficoltà, quindi tutte destinate ad essere vendute alla Cina. Dobbiamo solo essere consapevoli che proseguendo su questa strada il destino dell’Italia è quello di diventare una colonia economica.

Quali conseguenze comporterà a suo avviso?

Gli standard manageriali ed etici saranno più bassi. E le possibilità di carriera per ragazzi occidentali in aziende cinesi saranno pressoché nulli. Ciò comporterà una minore crescita. Se poi commetteremo l’errore di farli entrare anche in settori delicati come i media, rischieremo di trovarci di fronte a una vera propaganda di partito. Forse non sarà così in futuro, ma oggi un mondo cinese è senz’altro più brutto di uno americano. Anche per questo Pechino prova a rafforzare la sua immagine e il suo soft power. Nessuno scappa dagli Usa per andare in Cina, mentre invece accade spessissimo il contrario. Poi, ripeto, gli affari, soprattutto quando si tratta di cedere aziende decotte, vanno bene, ma spiace che avvengano con queste modalità.

A cosa si riferisce?

Ho l’impressione che il nostro sia un atteggiamento da mendicanti. Cediamo aziende e lo celebriamo, come se fosse una vittoria. Invece la verità è che dietro ogni vendita c’è una sconfitta.

Alberto Forchielli: l'Italia non diventi una colonia cinese

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