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Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali

Da Istanbul a Kars, da Izmir a Van le scuole turche hanno aperto le porte a un nuovo anno accademico proprio mentre nei corridoi scolastici si è giocato l’ultimo – almeno per ora – braccio di ferro tra i principi laici della repubblica kemalista e le riforme del governo del partito della Giustizia e dello sviluppo (Akp) dell’oggi presidente della repubblica, Recep Tayyip Erdogan.

SI AL VELO, NO AI TRUCCHI

Con una dichiarazione rilasciata il 22 settembre, il nuovo primo ministro Ahmet Davutoglu ha annunciato la decisione del suo governo di abolire il divieto di indossare il velo in scuole medie e licei, a partire dal decimo anno d’età.

Da sempre in primo piano nell’agenda politica dell’Akp, la nuova regolamentazione è l’ultimo di una serie di passi che dal 2008 hanno tentato di eliminare il tabù del velo.

Nel 2011 le prime studentesse velate poterono fare ingresso nelle aule universitarie, eliminando la restrizione che le aveva lasciate per decenni dietro le porte dell’istruzione superiore. Nel novembre 2012, il divieto fu abolito anche per gli imam-hatip, i licei religiosi, e durante i corsi opzionali per lo studio del Corano in tutti gli istituti superiori pubblici e privati.
L’anno scorso infine, è stata la volta di maestre e professoresse, beneficiarie della liberalizzazione del velo in tutte professioni pubbliche grazie al cosiddetto “pacchetto di democratizzazione” varato in autunno dal governo.

Una progressione verso un’apertura democratica necessaria, ma anche verso una Turchia che si arricchisce di nuovi simboli e modelli.

Così se da un lato si è permesso l’uso del velo, nel fine settimana un’ulteriore modifica del codice d’abbigliamento degli studenti ha vietato l’utilizzo del trucco, della tintura per capelli, di piercing e tatuaggi nelle scuole.

IMAN-HATIP, LICEI RELIGIOSI IN AUMENTO

Accolte con entusiasmo dai sostenitori dell’Akp, le nuove regolamentazioni mostrano il volto religioso-conservatore della Turchia storicamente repressa dalla laicità sorda dello stato e sferrano l’ultimo violento colpo di coda ai principi del fondatore della repubblica, Mustafa Kemal.

Dal maggiore attore d’opposizione, il partito del Popolo repubblicano (Chp) di ispirazione kemalista, si sollevano forti preoccupazioni circa l’avanzamento verso una Turchia veramente più libera e democratica.

La nuova misura va infatti inserita all’interno di una complessa costellazione di riflessioni, come il sorprendente aumento dei licei religiosi, gli imam-hatip, cresciuti circa del 73% dal 2010 secondo ricerche dell’Università Sabanci.

Preoccupazioni profonde sono poi state espresse in agosto, quando a seguito dell’esame di transizione tra la scuola primaria e secondaria (Teog) – un sistema d’assegnazione dei bambini alle scuole superiori sulla base del punteggio ottenuto nell’esame finale della scuola media – molti ragazzi, anche di religione non musulmana, si sono visti iscritti d’ufficio alle scuole islamico-religiose.

Infine, proprio il giorno dopo l’inizio delle lezioni, il 16 settembre, la Corte europea dei diritti umani ha chiesto ad Ankara di rivedere l’obbligatorietà del corso di “cultura religiosa e conoscenza morale”, basato su principi di ispirazione sunnita e imposto anche ai ragazzi di credo alevi, principale minoranza sciita del paese che da anni lamenta discriminazioni aperte da parte del governo.

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Emanuela Pergolizzi è stata stagista IAI nel quadro del programma Global Turkey in Europe (twitter: @empergolizzi).

La silenziosa rivoluzione di Erdogan

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