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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, pubblichiamo il commento di Gabriele Capolino uscito ieri sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi

Presidente Renzi, venga meno alla perplessità espressa di recente, quella di non voler vendere ulteriori quote dell’Eni o dell’Enel di proprietà del Tesoro.  Anzi, lo faccia subito, finché è in tempo. Perché il rischio concreto è che tra poco quelle quote, soprattutto il 30% di Eni, varranno molto molto meno di adesso. Anzi, eviterà l’ignominia di essere costretto a svenderla alla Shell o a un’altra compagnia petrolifera di un Paese dove non sia operante un Comitato di salute pubblica come in Italia.

Lo stesso Comitato ha già agito una prima volta, con la Saipem. Era un’eccellenza italiana tra le poche nel mondo dell’impiantistica e dei grandi lavori ancora in piedi, era invidiata da tutti i concorrenti e dava lavoro a migliaia di italiani. Il Comitato di salute pubblica rilevò che in occasione di un gara di appalto in Algeria (noto Paese calvinista) era stata pagata una tangente di 200 milioni, una parte della quale presumibilmente tornata in Italia a favore di dirigenti di terza fascia della società. Valore della gara: 11 miliardi. In qualsiasi altro Paese, l’eventuale autore dell’operazione avrebbe ottenuto una promozione, un forte aumento di stipendio e una medaglia al valore.

Per il Comitato di Salute pubblica invece il reato di corruzione internazionale era gravissimo e quindi aveva imposto all’Eni, capogruppo ai sensi della sciagurata legge 231/01, di decapitare il vertice di Saipem e prenderne le distanze, dando visibilità universale alla cosa. Risultato, il valore di mercato della Saipem è sceso da 15 miliardi di prima dell’intervento del Comitato ai 7,5 miliardi attuali. E solo i salti mortali della nuova dirigenza hanno permesso alla società di sopravvivere e rilanciarsi: quale governo o ente appaltatore avrebbe voglia di trattare con chi è stato così pesantemente morso dal Comitato di salute pubblica? Meglio i francesi di Total o gli anglo-olandesi  di Shell, calvinisti a casa loro ma di bocca buona fuori dai confini.

Con l’avviso di garanzia a Claudio Descalzi e al plenipotenziario africano, Roberto Casula, il Comitato di salute pubblica (non a caso composto più o meno dagli stessi protagonisti di Mani pulite ai tempi di Gabriele Cagliari) hanno fatto il bis, questa volta mirando direttamente all’Eni e al suo neo nominato a.d.

Descalzi è uno che nella sua vita professionale ha cercato giacimenti e quindi avuto a che fare con capitribù, dittatori, re, e altra accozzaglia di ignoranti sanguinari e corrotti con cui, volenti o nolenti, deve avere a che fare una compagnia petrolifera che voglia fare il bene dei suoi azionisti, dei suoi dipendenti e delle casse dell’erario del paese a cui appartiene. I suoi interlocutori erano gente con cui non è facile intavolare trattative, soprattutto a casa loro, perché occorre non farli incavolare, a beneficio della propria incolumità. E finora ha sempre servito l’Eni e il suo paese nel migliore dei modi.

L’Eni, in Nigeria, era interessata, così come la Shell, a un campo petrolifero in vendita. Quando ha visto che trattando le cose per via privata si rischiava di commettere qualche reato, ha preferito trattare direttamente con il governo nigeriano. Se poi quest’ultimo ha poi provveduto a ungere se stesso, sono problemi suoi. La cosa divertente è che, dal tenore di come è stata rivenduta ai media la cosa, sembra che l’avviso di garanzia sia figlio di un’inchiesta internazionale con epicentro a Londra. Leggendo bene, si scopre invece che a Londra c’è stata una banale causa civile tra smezzatori di provvigioni. Ovviamente, la Shell che ha partecipato anch’essa all’affare, non è sotto inchiesta in Olanda o nel Regno Unito.

E anche in questo caso, se le dimensioni della denegata tangente fossero poi quelle che risultano, sarebbe stato un ottimo affare per chi lo ha concluso. E invece nel paese di Tafazzi ci si trova sbattuti in prima pagina.

Ecco perché è altamente consigliabile al premer Renzi di procedere subito alla vendita di tutto il 30% di Eni prima che il Comitato di salute pubblica riesca nel suo intento finale, quello di ridurre la prima compagnia del paese a un gestore di pompe di benzina fai-da-te, ma pienamente compliant con le leggi dello Stato e in particolare della 231/01, regina viarum.

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