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“Si ritiene”, “sarebbe”, “avrebbero”. Come dire: si pensa, forse, chissà. Ecco su cosa si basano (meglio, si baserebbero) le ipotesi di reato che riguardano vertici e manager del gruppo Eni. Forse, magari, si sussurra.

Nessuna ironia, la faccenda è seria e riguarda la reputazione e l’assetto del gruppo Eni i cui vertici sono stati di recente nominati dal governo Renzi.

Leggiamo quello che scrive oggi il Corriere della Sera (sottolineando i “si ritiene”, i “sarebbe”, gli “avrebbero”):

Si ritiene che Scaroni e Descalzi abbiano organizzato e diretto l’attività illecita» di corruzione in Nigeria; e «la somma di 215 milioni», se non fosse stata ora bloccata tra Gran Bretagna e Svizzera, sarebbe stata «certamente destinata» non solo «a remunerare pubblici ufficiali» ma anche «a pagare kickbacks to Eni managers », cioè «tangenti a manager Eni e agli intermediari Obi/Agaev e Di Nardo/Bisignani». 
Non è dunque una responsabilità oggettiva, legata solo alla loro posizione di vertice, a essere contestata all’attuale amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e al suo predecessore Paolo Scaroni nell’inchiesta milanese sulle tangenti Eni a politici nigeriani che avrebbero propiziato l’acquisto, per 1 miliardo e 90 milioni di dollari nell’aprile 2011, della licenza per l’esplorazione del campo petrolifero Opl-245 di Abuja. Al contrario, da alcuni passaggi delle rogatorie internazionali, disvelate ora nel sequestro con il quale l’altro ieri la Southwark Crown Court di Londra ha congelato 83 milioni di dollari (in aggiunta a già 110 in Svizzera) del mediatore nigeriano Emeke Obi e dell’ex ministro nigeriano del petrolio Dan Etete, la Procura esplicita la convinzione che trae dal materiale inviato a Londra: «Si ritiene che Scaroni e Descalzi abbiano organizzato e diretto l’attività illecita. Descalzi era anche in continuo contatto con Obi. Luigi Bisignani era il collegamento tra i vertici dell’Eni e gli intermediari Obi e Gianluca Di Nardo», imprenditore italiano amico di Bisignani e socio di Obi nella prima fase della negoziazione Eni”.

Beninteso: non abbiamo le carte giudiziarie, e forse non le comprenderemmo neppure visto che bisogna essere un magistrato, un avvocato o un abituale lettore di brogliacci giudiziari per poterle capire. E non siamo i difensori del Cane a Sei Zampe. Ma quello che si può comprendere leggendo colleghi più esperti e più preparati di noi è che, al di là di titoli zeppi di sicumera su reati commessi e tangenti pagate o incassate, tutto è avvolto in condizionali, in forse, in si ritiene. Insomma, chissà.

I dispensatori di certezze non mancano al Corriere della Sera, peraltro sempre più spigliato e accigliato vista la transizione in atto con il direttore Ferruccio de Bortoli in uscita che si diverte sempre più a twittare ironizzando spesso su risultati e annunci del renzismo governativo.

Si prenda il caso di Francesco Giavazzi e Alberto Alesina, la coppia più affiatata di economisti à la page. Sì, sono sempre di moda Giavazzi e Alesina, forse perché cambiano sovente idea e quindi risultano sempre nuovi, originali e brillanti. Così, dopo aver sermoneggiato per anni sull’austerità dolorosa ma necessaria da infliggere all’Europa e dunque pure all’Italia per poter finalmente ripartire con un corpo economico più snello e scattante, l’austerity sta facendo stramazzare al suolo l’Europa. Certo – hanno detto loro che hanno sempre una soluzione a portata di mano – non bisognava solo tagliare la spesa ma soprattutto tagliare le tasse per poter riavviare la crescita; che stupidi questi politici. Peccato che per tagliare le imposte bisogna sempre ridurre la spesa pubblica, per rispettare il dogma rigorista del pareggio di bilancio e del Fiscal Compact idolatrati da Alesina&Giavazzi. Va be’, dai – hanno scritto più di recente – si può pure sforare un po’ il tetto del 3% per cento se però ci si impegna ad approvare le riforme strutturali. Certo, bello e facile e scriverlo in un pezzo di giornale, difficile e arduo metterlo per iscritto nel Def da spedire a Bruxelles. Ma perbacco – è stata la penultima uscita pure televisiva di Giavazzi in contraddizione con decenni di biasimo verso il ruolo della spesa pubblica e degli investimenti – è giunta l’ora di sollecitare la domanda per tornare a crescita. Sempre con quel cipiglio del tipo: io capisco tutto e voi (quasi) nulla.

Oggi, l’ultima novità (o l’ennesima giravolta, come altre in passato, secondo i più maliziosi). Eccola, tratta dall’editoriale di prima pagina sul Corsera: “Abbiamo più volte suggerito — non solo noi in realtà, ad esempio anche Guido Tabellini su Il Sole 24Ore — che per far riprendere lo sviluppo nei Paesi dell’euro sarebbe necessario un taglio delle imposte coordinato fra tutte le nazioni e finanziato tramite acquisti di titoli di Stato da parte della Bce”.

“Abbiamo più volte suggerito”? Siamo sicuri? Cronisti di economia che da anni seguono e compulsano gli scritti del duo Alesina&Giavazzi non ricordano che la coppia di economisti si sia distinta in passato nel sostenere questa tesi. Magari è stata accennata in qualche paper che è sfuggito ai più, o era contenuta di sfuggita in uno degli innumerevoli commenti scritti dai rinomati liberisti. I quali, invece, si sono per decenni stracciate le vesti accademiche quando qualche loro collega proponeva e auspicava che la Bce diventasse nei fatti prestatore di ultima istanza anche per gli Stati dell’Unione monetaria europea. Dunque acquistando titoli di Stato se necessario non solo sul mercato secondario.

Ma forse anche noi, come Giavazzi&Alesina, abbiamo qualche amnesia.

Il Corriere della Sera sdottoreggia su Eni e Bce

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