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Serve ancora un centrodestra, non bastano governabilità e modernizzazione renziane? Una democrazia può funzionare anche con poca alternativa, vedi Giappone o Messico, ma deve avere almeno un sistema (imperiale o presidenziale) che garantisca una sia pur relativa sovranità nazionale.

Così non è in Italia, dove la debolezza dello Stato apre le porte a nuove influenze straniere (oltre a quelle strutturali della nostra storia), sia economiche sia politiche, tali da renderci ancora più dipendenti. Con parte della nazione (secondo antica tradizione: “Franza o Spagna purché se magna”) che man mano si acconcerà a questa tendenza. Per quanto positive, tante iniziative renziane istituzionali ed europeistiche non servono a contrastare la deriva di fondo, la resa al dominio “estero”, innanzitutto perché manca la leva su cui poggiare una forte sovranità popolare come presidio di quella nazionale. Finiranno per essere palliativi sulla via di una crescente subalternità.

È questa “esigenza nazionale” che rende urgente la ricostruzione di un’alternativa di centrodestra. Necessaria anche per far funzionare il riformismo renziano. Ma essendo “patriotticamente” urgente la ricostruzione del centrodestra, è perciò semplice? No. Chiunque immagini che con qualche tavola dei princìpi, qualche personalità sfolgorante, con movimentismi dal basso, si aprano naturalmente le porte a un centrodestra di governo perché c’è “un popolo” già pronto che aspetta solo di essere mobilitato, chiunque agiti questa prospettiva, prescinde dalla storia concreta della nostra nazione.

Dalla “destra liberale” a Luigi Sturzo, fino ai tentativi (per esempio di Mario Scelba che voleva mettere fuori legge l’Msi per preparare le basi di una forza moderata-conservatrice) degli sturziani, “il sistema italiano” (a partire da elementi essenziali della grande borghesia, a settori fondamentali dello Stato, a élites sdegnose del popolo, al sistema di influenze straniere che inizia con Napoleone III e lord Palmerston/lord Gladstone e prosegue con George Clemenceau, Adolf Hitler – non senza una parallela forte influenza di JP Morgan – e poi Harry Truman simmetricamente a Mosca) marginalizza la destra di governo. Si dirà che con il fascismo una certa destra ha governato per venti anni. Il che in parte è vero (anche se lo statalismo mussoliniano riprende più il suo antico socialismo che einaudismi o sturzismi), ma ciò derivò dalla prima più cruenta fase della Guerra civile europea (quella 1914-1945) più che dall’evoluzione nazionale. Alla fine mise fuori gioco, dopo la Resistenza, un bel po’ di basi per una destra “possibile”, a partire da ampi settori di borghesia “compromessa” per finire con idee marchiate dall’uso fascistico (persino di patria fu difficile parlare per un buon periodo), riprendendo quell’emarginazione di una destra di governo che in qualche modo si esprime da fine Ottocento.

Ahimé! La storia non è acqua e il deficit di basi adeguate dello Stato italiano si allarga dopo la fine della Prima repubblica (già più dei partiti che dei cittadini). in questo quadro, il berlusconismo non è facile espressione di un popolo a cui bastava dare “forma politica”, ma operazione complessa e in parte spericolata (d’altra parte basta verificare quanto l’abbia “pagata” in tutti i sensi Silvio Berlusconi), cauta e intelligente quando mette insieme quel che c’è (da Msi a Lega Nord), possibile per la ricchezza e la forza mediatica (dalle reti Tv a Il Giornale) del protagonista, e non digerita dal “sistema” (élites, influenze straniere, establishment, corpi dello Stato), come si comprende dall’esito extra-democratico avviatosi alla fine del 2009.

Quindi è impossibile fare alcunché? Forse non impossibile: esiste una disponibilità (più che una spinta) da parte di settori della società che preferirebbero non rinunciare a una relativa sovranità nazionale (non si dice francese o tedesca, ma almeno polacca o spagnola). Ma assai complicata. Non affrontabile a cuor leggero. Le leadership, i soggetti trainanti potranno farsi strada se le vie per un centrodestra di governo saranno costruite con cura. Mi pare che il percorso suggerito da Raffaella Della Bianca su Formiche.net sia il più praticabile: organizzare le primarie per le regionali per abituare a stare insieme Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia, Ncd, Udc e quant’altri, anche dal basso, e non solo dall’alto. Pensare a liste civiche “blu” che servano a raccogliere chi non si identifica nelle attuali forze organizzate che però non avrebbero la possibilità di ottenere alcun consigliere con questo sistema elettorale- e infine promuovere movimenti tematici per iniziare a unificare il centrodestra su grandi questioni (presidenzialismo, nuovo federalismo, riforma della giustizia, lotta alla corruzione) e su obiettivi anche più mirati (con una logica da sì Tav, sì termovalorizzatori, sì tangenziali e tunnel dove necessari).

La cosa che bisogna avere ben presente è che il centrodestra non è la sinistra: organizzata anche grazie a grandi poteri nazionali e stranieri e dunque in grado di permettersi scorciatoie. La parte politica alternativa alla sinistra deve essere cosciente che il suo percorso non può che essere impervio.

Articolo pubblicato sul numero di agosto-settembre di Formiche

Al centrodestra servono le primarie alle Regionali più che una Leopolda Blu

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