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Se ho ben compreso il senso delle varie posizioni esposte nell’intelligente discussione sollevata da Formiche.net, la maggioranza degli intervenuti pensa ad un non astratto recupero di una politica di centro, congegnata su convinzioni popolari reali anche se raccoltesi in uno straordinario astensionismo. Altri fanno invece riferimento ad un centro-destra ideale e non plurale, com’è nei sentimenti percepibili o addirittura espressi nelle urne. Tutti sottolineano che il soggetto politico di cui parlano – al futuro più che al presente – va inteso come alternativa alla sinistra, sia pure con sfumature poco convincenti, come l’allusione a intese parlamentari, di potere e non d’ordine costituzionale, proprio con la sinistra che c’è e che vince.

Proprio queste ultime allusioni mi lasciano perplesso sulla fragilità culturale e politica che induce a sradicarsi dalla storia italiana e dalla stessa realtà politica della presente fase. Che proprio sul piano politologico, ma soprattutto su quello politico, non è bipolare e neppure tripolare (con l’emersione imperiosa del grillismo antipolitico e anguillesco), bensì multipolare, causa le stesse origini referendarie della repubblica, che consigliarono ai padri costituenti un fondamento proporzionalistico alle rappresentanze politiche: com’era peraltro nella natura degli italiani almeno dal tempo dell’età comunale.

Per restare coi piedi per terra anche quando si inclina a molta immaginazione, sarà bene tenere conto, nel prosieguo della interessante discussione telematica, dei dati reali. A cominciare da quelli del 25 maggio, emersi in due condizioni speciali: una consultazione riguardante l’Europa con la sua dominante sovranità monetaria (l’esatto contrario di quella solidaristica e pacificatrice immaginata da De Gasperi e dallo stesso Altiero Spinelli), mortificatrice dei sentimenti delle popolazioni mediane delle singole comunità dell’Ue; la non partecipazione al voto di oltre il 50 per cento degli aventi diritto, con la conseguenza che le stesse percentuali ottenute dalle singole liste hanno finito col non far considerare, per esempio, che il Pd di Renzi, giunto alla soglia del 41 per cento, in realtà ha raccolto lo stesso numero di voti del febbraio 2013, quando a guidarlo c’era lo sconfitto Bersani.

Spostando l’attenzione dal Pd alle varie formazioni di centro e di destra – non poche, in verità, malgrado lo sbarramento del 4 per cento -, ci si accorge che il loro tasso di rappresentatività è anch’esso pari a circa la metà dei consensi reali del 2013. Con due differenze sostanziali rispetto al Pd: centro e destre erano fra loro disaggregate per volontà dei rispettivi vertici nazionali; il centro più rappresentativo – Forza Italia – non ha perso voti a favore del Pd, sicché il suo elettorato è impermeabile alle suggestioni giovaniliste e accattivanti del leopoldismo. Ed è appunto quest’ultimo elemento – cioè la percezione che i cittadini hanno della lotta politica, delle sue diversificazioni e divaricazioni -, che dovrebbe sorreggere qualsiasi ipotesi innovativa o sostitutiva di soggetti politici privilegiati dagli elettori, non da nomenclature e partiti declinanti e non suscitatori di speranze alternative concrete alla sinistra che c’è: oltre tutto divenuta parlamentarmente più forte con l’apporto di parti consistenti della sgretolata Scelta civica e con l’implosione di Sel, tendente a confluire nella sinistra che dà potere indipendentemente dalle contrapposizioni delle sue corporazioni interne.

La stessa discussione su Formiche.net evidenzia che l’evocazione di un substrato culturale necessario per qualsivoglia recupero o rottamazione politica (questo, e non altro, significa oggettivamente lo slogan Leopolda Blu) non è uniforme. Anzi, a dirla tutta, in non pochi interventi trapela un misto di riferimenti contraddittori – nazionalismo ed europeismo; liberalismo e statalismo; cattolicesimo politico e laicismo esasperato; ambientalismo primordiale e cultura di salvaguardia moderna dell’ambiente; utilitarismo e idealità; sensibilità per l’autoritarismo e difesa strenua delle libertà naturali, a cominciare dall’immunità, che non è privilegio ma protezione di una funzione di rappresentanza generale; famiglia d’ogni genere e fantasia e famiglia secondo natura e come istituzione di base di una società civile – che rischiano di sterilizzare la politica a mero esercizio del potere.

Dunque, centro e destra sono posizioni distinte, con virtù diverse e necessità uguali. Si può auspicare una loro unità d’azione congiunturale, non un’unità di fatto. Si può immaginare una federazione fra diversi anche in funzione della difesa di interessi culturali comuni e alternativi alla sinistra. Ma il materialismo brado delle convenienze, per favore, lasciamolo fuori dal futuribile. Perché gli elettori, generalmente disgustati dai fraintendimenti dei mestieranti e dei mestatori, potrebbero finire col non credere più neppure a chi, sinceramente e lealmente, si batte per la libertà di tutti.

L'illusione della Leopolda Blu: centro e destra sono diversi

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