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C’è un peccato originale che sta all’origine della moneta unica. Un peccato originale che riguarda il nostro Paese. Al di là delle discussione su cosa sia necessario fare oggi, se lasciare il sistema monetario europeo oppure se rimanervi (e nel secondo caso, come), è la storia di come l’Italia ha messo piede nell’euro che merita di essere raccontata. Come tutto è iniziato, cosa dicevano e cosa pensavano i nostri politici quando c’è stato da approvare il Trattato di Maastricht con i suoi rigidi parametri. E che proprio in questi giorni vede alcuni economisti e giuristi, di chiara fede europeista, chiedere addirittura l’abrogazione del Fiscal Compact con un referendum.

Era il 29 ottobre del 1992 e alla Camera dei deputati, con il documento firmato sulle rive del Mosa in via approvazione, i deputati parlavano di ben altro. Tanto che alcuni si chiedevano “cosa si vota oggi?”. Poi quel Trattato è passato a larghissima maggioranza, complice anche il voto della Lega Nord che oggi con Matteo Salvini predica l’uscita dall’euro, e con i soli voti contrari della più stravagante delle alleanze, quella tra Rifondazione comunista e Movimento sociale italiano. Viene licenziato il Trattato di Maastricht con l’Italia che presenta cifre lontanissime dagli obiettivi richiesti dai vertici europei, soprattutto in termini di rapporto debito/Pil. Viene approvato nell’anno di Tangentopoli, nell’anno delle stragi mafiose di Capaci e via d’Amelio, nell’anno in cui il presidente del consiglio Giuliano Amato mette le mani nelle tasche degli italiani con il prelievo forzoso sui conti correnti, nell’autunno nero della lira che, vittima degli attacchi speculativi internazionali, subisce una tale svalutazione da ritrovarsi fuori dal Sistema monetario europeo.

Prende le mosse proprio da quei giorni “EuroRomanzo. Da Maastricht alle tentazioni di fuga” (ed. Informant), l’e-book scritto dal giornalista Giovanni Bucchi per raccontare come sia stato possibile che a partire dall’anno in cui la Danimarca dei fratelli Laudrup ha vinto gli europei, nel giro di due lustri ci siamo trovati con le macchinette al casello dell’autostrada che sputavano il resto in euro. Quali sono state le principali tappe, e in quali contesti si sono verificate, quali i protagonisti e cosa dicevano all’epoca.

Come quanto il presidente della Fiat, Gianni Agnelli, riconosceva l’importanza della svalutazione della lira per le esportazioni italiane che iniziavano a riprendere piede, tema questo riportato alla ribalta oggi da molti economisti favorevoli all’uscita dall’euro per abbandonare la politica dei cambi fissi. Oppure, come quando i governi di alcuni Paesi nordici facevano di tutto per lasciare fuori l’Italia dal primo gruppo dei Paesi aderenti all’euro, mentre invece qualcuno in Germania spingeva perché anche noi fossimo della partita sin da subito a costo di accettare conti truccati, come poi rivelò il settimanale tedesco Der Spiegel. E chissà perché i teutonici ci tenevano così tanto ad averci dentro l’euro insieme a loro, e chissà perché proprio nel 1992 – tre anni dopo la caduta del muro di Berlino e la riunificazione delle due Germanie – la moneta unica inizia ufficialmente il suo cammino. Sono questi alcuni dei dubbi che traspaiono anche esplicitamente dal libro.

Nell’e-book scritto da Bucchi ci sono anche le previsioni di fine anni ’90, poi smentite, della task force del Parlamento europeo sui miglioramenti che avrebbe dovuto fare l’Italia nei vari indici per rispettare i parametri imposti, certe dichiarazioni di Mario Monti che se rilette oggi fanno riflettere eccome, l’impegno dell’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, a portare l’Italia nella moneta unica. A tutti i costi. Senza se e senza ma.

C’è tutto questo così come, nella seconda e terza parte, ci sono le interviste a otto economisti che da tempo imperversano sui mass-media e non solo parlando della moneta unica. Dai convinti sostenitori dell’uscita dall’euro – come Claudio Borghi Aquilani, Antonio Maria Rinaldi, Loretta Napoleoni e Antonino Galloni – ai sostenitori della necessità che l’Italia prepari un “piano B”, come Paolo Savona, fino a chi predica l’uscita “da sinistra” senza cedere alle sirene dei nazionalismi (è il caso di Emiliano Brancaccio) e chi invece non è per nulla convinto dell’uscita dalla moneta unica, anzi ritiene che l’Italia non debba cercare capri espiatori all’esterno ma pensare a fare le riforme in casa propria per risollevare la propria economia. Tesi, questa, espressa da Oscar Giannino e Riccardo Puglisi.

Amare o detestare l'euro? Il libro di Giovanni Bucchi

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