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Anche le ultimissime rilevazioni demoscopiche vanno confermando che il gran sgomitare fra partiti, partitelli e personalità più o meno rappresentative del centro-destra per accaparrarsi voti all’interno della stessa area moderata, non paga. Un punto in più in percentuale non inverte i rapporti di rappresentatività reale. È comprensibile la preoccupazione di garantirsi il superamento della soglia del 4 per cento per accedere alla distribuzione dei seggi europei; così come è anche il sistema elettorale proporzionale che induce i più piccoli ad alzare la voce per farsi ascoltare. Ma si dimenticano due questioni.

Data la situazione determinatasi nella XVII legislatura nazionale, col succedersi di diaspore e ricollocazioni rispetto al potere centrale, è poco opportuno considerare il voto europeo come una prova di maturità delle nuove formazioni; se non altro per la non giovanissima età dei colonnelli cresciuti in una casa madre che si è abbandonata più per calcolo di potere che di libertà concusse. Non a caso ci si giustifica d’essere nati troppo di recente. E di avere necessità di organizzarsi meglio – io aggiungerei: e di studiare di più come ci si dovrebbe affermare dignitosamente in politica – prima di affrontare un vero esame di maturità che raccolga copiosi voti. Ma, ciò che sembra sfuggire alla considerazione dei capintesta e dei sottopancia dei partiti minori, è che l’Italia è uscita dalla sua fase bipolare per entrare in una tripolare: nella quale l’ultimo arrivato è anche il più pretenzioso.

Anche a tal proposito una scorsa ai sondaggi può aiutare. Mentre il centro-destra, gira e rigira, complessivamente considerato, è fermo in terza posizione (e non solo per il dimezzamento politico per via giudiziaria di Berlusconi), gli altri due poli contendenti sembrano incapaci di pescare consensi nell’accresciuto campo degli indecisi e dell’astensionismo; e, invece, tentano di rubarsi reciprocamente dei punti di percentuale, come se ciò costituisse il massimo obiettivo politico delle dissociazioni commesse anche puntigliosamente. E ciò spiega perché negli ultimissimi giorni le contumelie fra Grillo e Renzi (e rispettivi megafoni di complemento) sono saliti di tono e scesi in qualità e credibilità. Però le distanze fra Pd e M5S e il complesso delle formazioni di centro-destra si sono fatte più marcate. Il che significa che la guerra fratricida in corso in quest’ultimo schieramento è quanto meno improduttiva, se non suicida.

Certo il clima elettorale non aiuta a cercare riaggregazioni e accentua la litigiosità, sovente meschina e improvvida. Ma proprio perché occorre badare bene al domani piuttosto che all’oggi, sarebbe preferibile preoccuparsi più della gallina che dell’uovo.

La suicida litigiosità del Centrodestra

Anche le ultimissime rilevazioni demoscopiche vanno confermando che il gran sgomitare fra partiti, partitelli e personalità più o meno rappresentative del centro-destra per accaparrarsi voti all’interno della stessa area moderata, non paga. Un punto in più in percentuale non inverte i rapporti di rappresentatività reale. È comprensibile la preoccupazione di garantirsi il superamento della soglia del 4 per cento per…

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