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Ecco che l’Oriente estremo e quello medio, da sempre distanti e distinti, s’incontrano in nome degli affari, vero lievito globalizzante del nostro tempo.

La Costantinopoli cinese si candida a diventare la prima piazza finanziaria “laica” ad emettere bond governativi in versione sukuk bond, ossia i bond islamici costruiti secondo i dettati della sharia, che già tanto successo hanno mietuto anche in terra europea.

Ecco che ancora una volta il denaro, ossia la costituente stessa del lievito, si dimostra capace di superare qualsiasi barriera, anche quella religiosa, mutando come un camaleonte secondo i desideri di coloro che lo muovono.

Gli amanti dei paradossi della storia non potranno che compiacersi scoprendo che un’ex colonia dell’ex impero britannico, di recente braccio finanziario dei comunisti cinesi, ormai convertiti alle gioie del capitalismo, offra i suoi servigi agli investitori internazionali per trattare bond islamici, ossia strumenti finanziari costruiti secondo principi che dovrebbero far inorridire qualsiasi buon liberale.

Tutto fa brodo, purché faccia soldi.

E infatti i sukuk bond sembrano la miniera d’oro del capitalismo terminale. Se non altro perché, proprio in virtù del loro portato religioso, sono oggetto del desiderio di tante popolazioni, quelle islamiche appunto, e in particolare quelle del Golfo, che sempre l’astuzia della storia ha trasformato nelle uniche (insieme proprio alla Cina e alla Germania) che esibiscano corporsi surplus di conto corrente sulla bilancia dei pagamenti.

Sono gonfi di denaro in sostanza. E assai impazienti di farne qualcosa.

Ma perché proprio i sukuk?

Ce lo spiega bene Peter Pang, nome meraviglioso. Un Peter Pan – metafora di chi non vuole crescere, e quindi perfetta rappresentazione della nostra finanza contemporanea – ma orientale. La deriva del capitalismo. Il suo punto d’approdo.

Peter Pang di mestiere fa il vice chief executive dell’autorità monetaria di Hong Kong e nel suo poco tempo libero svolge istruttive allocuzioni, come quella che ha tenuto lo scorso 14 aprile alla conferenza dedicata proprio alla finanza islamica (“Sukuk as a viable fund-raising and investment instrument”).

Ebbene, mister Pang ci ricorda che “la finanza islamica sta diventando sempre più importante nel mercato finanziario globale, poiché registra crescita esponenziali negli ultimi anni”.

Vi sembra un’esagerazione? Macché: nel 2008, dice Pang, l’industria finanziaria islamica valeva 700 miliardi di dollari. Nel 2013 si stimava valesse 1,8 trilioni, “rappresentando una crescita al tasso annuale del 21%”, commenta Pang, mentre mi immagino i suoi occhi ruotare come le testine di una vecchia calcolatrice.

“E si stima che per il 2020 gli asset islamici arriveranno a 6,5 trilioni”, conclude sicuramente per nulla inesausto, ma anzi rinfrancato dalla teoria di dollari a venire che potenzia la sua immaginazione.

Il combinato disposto fra calcolo e immaginazione, che è un po’ lo spirito degli ultimi secoli in Occidente, ormai è dilagato come una pestilenza.

Il grosso di questa crescita di asset islamici è prevista proprio per i sukuk bond. Dieci anni fa le emissioni di questi strumenti quotavano appena 5 miseri miliardi di dollari l’anno, che oggi sono diventati oltre venti volte tanto: 117 miliardi. A spingere questa domanda la forte richiesta di investimenti sicuri da parte di investitori islamici, visto che “negli anni la regione del Golfo ha accumulato un notevole ammontare di ricavi petroliferi”.

“L’anno scorso – nota sempre più compiaciuto e calcolatore Pang – il surplus di conto corrente nel Gulf cooperation council (GCC) è stato stimato intorno ai 300 miliardi di dollari, mentre gli asset gestiti dai fondi sovrani di questi paesi ammontano a oltre due trilioni di dollari”. E poiché questi investitori hanno preferenza per gli strumenti finanziari islamici, ecco l’uovo di Colombo: emetterli a Hong Kong, forti peraltro del rating a tripla A dell’ex colonia.

“Per il suo ruolo di centro finanziario internazionale e quello, unico, di gateway verso la Cina, Hong Kong è ben posizionata per fornire una piattaforma di scambio dove l’offerta di questi surplus dal mondo islamico possa incontrare la grande domanda di finanziamenti che arriva dalle economia asiatiche in crescita. La nostra infrastruttura potrà consentire agli investitori arabi di accedere alle opportunità di investimento in Asia, e in particolare in Cina, consentendo allo stesso tempo ai fund raiser di attingere alla liquidità del mondo islamico”.

E tutti vissero felici e contenti.

La finanza islamica sbarca a Hong Kong

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