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“Spread” è la parola che ormai da anni sta spaventando drammaticamente gli italiani: significa differenza, in questo caso fra i tassi dei Buoni del Tesoro italiani e degli omologhi Bund tedeschi. Più cresce lo spread, più i tassi sui titoli di Stato italiani si innalzano, innestando una pericolosa ed onerosa catena, aumentando il costo che lo Stato italiano sopporta a fronte dell’enorme debito pubblico della Repubblica italiana. L’aumento dei tassi sui titoli di Stato italiani fa crescere anche una veloce spirale che si ripercuote sul costo del denaro per le famiglie e le imprese italiane, con conseguenze molto problematiche per la competitività delle produzioni italiane sui mercati. Insomma, l’enorme debito pubblico italiano, cresciuto nei decenni, costa sempre di più agli italiani, soprattutto in una fase di crisi di fiducia come l’attuale.

Ora l’Italia ha come primo impegno proprio quello di invertire la tendenza, innestare un nuovo clima di fiducia internazionale, adottare misure rigorose per limitare ancor più la spesa pubblica e per ridurre, con equità e progressivamente il debito pubblico. L’Italia deve farcela e ce la farà anche perché, per esempio negli ultimi vent’anni, ha superato altre crisi economiche e di fiducia.

Prendendo ad indicatore emblematico il solito “spread”, si nota che i livelli maggiori di quelli di questi ultimi anni erano stati raggiunti fra il 1992 ed il ’93 e il 1995, anni in cui superarono anche il sei per cento (o seicento punti base), sfiorando perfino il sette per cento. In quegli anni c’era ancora la lira, la cui difficilissima e non riuscita difesa delle parità dei cambi costò nel 1992 cifre ingentissime alla Repubblica italiana, senza evitare, poi il rischio di una recrudescenza dell’inflazione che fu contenuto grazie ad una proficua “politica dei redditi”.

Invece, dalla seconda metà degli anni Novanta, con l’adozione dell’Euro, lo spread è progressivamente calato per scendere ben sotto l’uno per cento (cento punti base) dall’autunno del 1997 e per rimanere stabilmente, per oltre un decennio, su valori di pochi centesimi , spesso quasi rendendo irrisorio lo spread stesso. Invece, dall’autunno 2008, caratterizzato dalla crisi internazionale acuita dal caso Lehman, lo spread è risalito assai significativamente, mai scendendo poi sotto tale soglia. Quindi, la crisi è cresciuta nuovamente, in particolare in Europa, e dal dicembre 2010 lo spread ha di nuovo raggiunto i duecento punti base, fino a raggiungere i picchi di oltre cinquecento nell’autunno 2011, in piena fase di crisi dei debiti pubblici. Dall’autunno del 2011 lo spread ha registrato una riduzione, tornando solo a gennaio 2014 su valori intorno al 2 per cento. Valore tuttavia ancora troppo elevato.

Insomma, l’Italia ha già superato crisi finanziarie ed economiche non certo minori quand’era anche esposta a fiammate inflazionistiche e a perdite di valore della lira che oggi l’Euro (pur con i suoi limiti e difetti) evita all’Italia.
Ora l’Italia può e deve voltar pagina. L’interesse complessivo dell’Italia in Europa e nel mondo deve essere la bussola: “l’Italia innanzitutto”, come disse il grande costituzionalista Vittorio Emanuele Orlando nel 1946 aprendo i lavori dell’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana.

Come vincere la guerra dello spread

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