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E se la salvezza per un continente vecchio e sordo ai cambiamenti fosse in una transeuropa dall’Atlantico agli Urali? Metodi e soluzioni per una storia mondiale del presente analizzati dal prof. Giulio Sapelli, storico ed economista, alla luce del suo ultimo pamphlet “Dove va il mondo” (edizione Guerini) che sarà presentato martedì 15 aprile presso il Centro Studi Americani a Roma.

Qual è il ruolo dell’Europa nei nuovi rapporti di forza?
È quello che dovrebbe essere ma non è: l’Europa dovrebbe avere una sua iniziativa diplomatica. Sarebbe stato sufficiente che la baronessa Ashton, che evidentemente non sa nulla di diplomazia, avesse preso un aereo per Mosca dove rassicurare Putin che qualsiasi fosse stata la destinazione dell’Ucraina, la base di Sebastopol, così come quella di Tartous in Siria, potevano essere ancora dei russi. Si tratta di una base per cui la Russia paga annualmente all’Ucraina decine di miliardi di dollari. In quel caso tutta questa incredibile tensione che dall’Ucraina sta avendo un effetto domino, temo, fino a tutto il Medio Oriente non si sarebbe verificata.

Che cosa deve fare l’Europa?
L’Europa deve cominciare a pensarsi come un continente che va dall’Atlantico agli Urali e convincere gli Usa che quella è l’Europa migliore anche per il Transatlantic Pacific Act. Un’unione transatlantica tra Stati Uniti ed Europa senza la Russia sarebbe una cosa senza senso. A ciò si aggiunga la politica della Germania, di cui solo oggi si accorgono di quanto sia perniciosa. Ecco la miscela esplosiva che abbiamo dinanzi.

Ma da dove nasce il disagio del Vecchio Continente?
Nasce da lontano e da molteplici fattori: in primis dall’ostilità storica della Francia verso la Germania, che già negli anni Trenta e poi negli anni Cinquanta rende manifesta, con Parigi fuori dalla Nato e con l’idea gollista dell’Europa inficiata dal conflitto con i teutonici. In secondo luogo dall’ottusità tedesca che, abbandonata la grandezza strategica di Kohl, non possono non capire che 80 milioni di tedeschi in Europa non possono non far paura, economicamente per adesso. Direi che, come sempre accade, c’è stata un’astensione del lavoro diplomatico da parte degli inglesi, che preferiscono considerarsi fino in fondo ciò che sono.

Ovvero?
Un Paese non europeo ma transatlantico. Ma direi che non è l’economia a decidere la società, bensì il contrario e l’economia è decisa dalla cultura. Per cui il monetarismo francese emerso sotto nuove vesti con la crisi della finanziarizzazione hanno fatto propendere la bilancia per un’unione monetaria, illudendosi che potesse bastare a guidare l’Unione Europea: una follia, perché si è creata una moneta senza Stato. Un qualcosa che non è mai esistito nella storia del mondo e che non può continuare ad esistere.

Il rapporto tra nazione e internazionalizzazione che tratteggia nel suo pamphlet, come si snoda ad esempio nel caso libico, dove l’Italia da potenziale protagonista fino ad oggi è stata semplice osservatrice?
Lo è stata perché quel nesso è decisivo per tutte le Nazioni, ma dal punto di vista globale per quelle Nazioni a tardiva unificazione, ovvero quelle nate da un accordo diplomatico. L’Italia è un caso esemplare, basta leggere quanto scrive lo storico Rosario Romeo per accorgersi che l’Italia è stata un’invenzione degli inglesi per arginare i francesi e lo Stato Pontificio. Ma nel secondo dopoguerra grazie all’intelligenza della politica estera democristiana e vaticana, oltre che all’intelligenza di Enrico Mattei e di imprese come la Fiat che nel 1930 già dialogava con la Russia di Stalin, abbiamo avuto il nostro sviluppo.

Su quali basi si poggiava quella politica estera?
Fondata più sui poteri circostanzionati di fatto che sulla diplomazia classica. Naturalmente con il crollo dei partiti quelle supplenze alla diplomazia classica non così potente sono venute meno. E oggi non riusciamo a reggere da soli su quel fronte anche perché siamo un Paese a sovranità limitata.

Torniamo alla Libia, prof.

In Libia il Paese meno odiato è l’Italia, ma ha un ruolo poco diretto: ci siamo fatti prendere la mano dalla follia francese che pensa e agisce in modo imperiale pur non avendone i mezzi. In Libia i francesi hanno colpe spaventose. Noi comunque ci siamo comportati bene grazie al ruolo dell’Eni. Ma ahimè, mancava Andreotti: ecco il problema.

Guardando al Medio Oriente, dobbiamo prepararci ad una guerra civile islamica?
È già in corso. Ciò che mi ha colpito è l’ignoranza degli osservatori internazionali, della pubblicistica e non parliamo dell’Italia, con tutto il rispetto per Limes o Aspenia. Il fatto che sunniti e sciiti strappino una faglia in questo modo e anche il fatto che tra questi ultimi ci siano delle divisioni, è di un’evidenza assoluta. Bisogna rendersi conto inoltre che dietro i Fratelli Musulmani ci sono i salafiti. Invece questo non lo sa nessuno. Dico che ci sarà una lotta molto dura, di ciò se ne è già accorto il segretario di Stato Americano John Kerry che non riesce a tirare fuori un ragno dal buco.

twitter@FDepalo

Ucraina e Libia. La lezione geopolitica per l'Europa secondo Giulio Sapelli

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