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Per più di 30 anni gli Stati Uniti hanno provato a far cadere il regime islamico iraniano iniziato nel 1979 con l’ayatollah Ruhollah Khomeini e oggi si vedono costretti ad essere dalla loro stessa parte per combattere la guerra in Irak.

Paradossalmente Barack Obama e Hassan Rohani, capi di Stato di due Paesi in contrapposizione, hanno in comune uno stesso obiettivo: evitare che l’offensiva militare dei combattenti sunniti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) (leggi il ritratto del leader Al Baghdadi) abbia la meglio sul governo del primo ministro iracheno Nuri al Maliki e sulla stabilità del Paese.

IL SOSTEGNO CURDO

Secondo la stampa americana, il settarismo di Maliki e le denunce dalle minoranze curde e sciite impediscono la creazione di un fronte forte per affrontare la crisi. Inoltre, visto che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno ritirato un gran numero di soldati, l’unica alternativa che resta al governo è chiedere il sostegno della minoranza kurda. Da molti anni il Kurdistan iracheno – un’ampia regione al nordest del Paese nella frontiera con l’Iran – è autonomo e conta su una potente milizia chiamata “peshmerga”.

AIUTI INTERNAZIONALI

Oltre i “pershmerga”, ad aiutare l’Irak c’è la comunità internazionale. Secondo l’amministrazione Obama, in queste ore stanno sbarcando 275 militari americani a Baghdad. Ma alcuni analisti sostengono che non sarebbero equivalenti a un solo soldato iraniano.
Né Stati Uniti né Regno Unito possono fare molto in Medio Oriente. Essendo la nazione con la più forte presenza sciita al mondo, l’Iran ha inviato un generale della forza di elite al-Quds, la Guardia rivoluzionaria, per offrire consulenza in materia di difesa a Baghdad. Il generale si chiama Qasem Soleimani ed è un simbolo della determinazione dell’Iran nel promuovere l’unificazione del vicino di casa.

L’IMPORTANZA DELL’IRAK

Ad ottobre del 2012, l’ex ministro degli Esteri e presidente dell’Ipalmo, Gianni De Michelis, presentava il ministro degli Affari esteri iracheno, Hoshyar Zebari. Tra ricordi, analisi e previsioni, nell’incontro si insisteva sulla rilevanza a livello europeo di accompagnare l’Iraq nel nuovo dialogo politico. L’Iraq era al centro delle principali crisi del Medio Oriente, tra l’Iran e la Siria. E qualsiasi soluzione politica dovrebbe coinvolgere questo Paese strategico.

UNA GUERRA REGIONALE

L’Isis è molto ricco. La Bbc sostiene che con la presa della città irachena Mosul il gruppo terroristico ha aggiunto 2 miliardi di dollari ai suoi fondi. Le probabilità che questa nuova crisi in Irak si espanda nella regione e arrivi a Siria, Turchia e Iran è una minaccia che prende sempre più forza.

MINACCIA PER L’EUROPA

In un editoriale su quanto sta accadendo in Iraq, il quotidiano Le Monde avvertiva: “Nel 2003, in nome della guerra al terrorismo, gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq. Undici anni dopo, sulle macerie di una folle invasione, il jihadismo ha trionfato nel Paese. Un disastro per Washington, una tragedia senza fine per iracheni e siriani, una minaccia futura per gli europei”.

Il ruolo dell'Iran in Irak

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