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Pubblichiamo grazie all’autorizzazione di Class Editori e dell’autore, l’articolo di Marcello Bussi uscito sul quotidiano MF diretto da Pierluigi Magnaschi.

«Unanime». Questa è la parola magica piaciuta ai mercati. Ieri la Bce ha lasciato le bocce ferme, mantenendo i tassi d’interesse allo 0,25% e non prendendo nessuna decisione straordinaria. Un esito atteso dagli economisti delle maggiori banche. Il responso dei mercato non è però stato neutro, come di solito avviene in questi casi.

LE MISURE PER AFFRONTARE LA CRISI

A fare la differenza è stato l’aggettivo «unanime» riferito al Comitato direttivo, che è stato appunto «unanime nel suo impegno a utilizzare anche strumenti non convenzionali in linea con il mandato per affrontare in maniera efficace i rischi di un periodo troppo lungo di bassa inflazione». Tra queste misure, ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, si è discusso «anche di Quantitative easing», ovvero dell’acquisto da parte della Bce di titoli di Stato e di altri titoli finanziari emessi dalle banche per aumentare la liquidità in circolazione, così come sta facendo da lungo tempo la Federal Reserve. Parole che non sono giunte inaspettate, visto che la settimana scorsa era stato addirittura il presidente della Bundesbank Jens Weidmann a dire che questa opzione non è fuori discussione», ma è comunque la prima volta che in conferenza stampa Draghi ha accennato a un dibattito sull’argomento. Ed è importante che Weidmann abbia preso in considerazione questa opzione anche in sede ufficiale, trascinando con sé i suoi più fedeli alleati, come i banchieri centrali di Finlandia, Austria e Slovacchia.

AL’ACCOGLIENZA DEI MERCATI

Le parole di Draghi sono state accolte con un certo favore dai mercati, in particolare dalle borse dei Paesi più in difficoltà e che quindi beneficerebbero maggiormente dell’allentamento quantitativo: piazza Affari e Madrid hanno infatti segnato entrambe un rialzo dell’1,4%, mentre Parigi è salita dello 0,4% e Francoforte dello 0,1%. L’euro è invece sceso dello 0,4% a 1,3715 dollari. Bene lo spread dell’Italia, che si è ristretto a 166 punti base, ai minimi da dicembre 2010, con un rendimento del titolo di Stato decennale del 3,26%, minimo dal 2005.

LE PAROLE DI DRAGHI

Tra le affermazioni più significative di Draghi spiccano quelle riguardanti i timori sulla «stagnazione più lunga del previsto» e l’ammissione che la Bce «ha sottovalutato più volte il calo dell’inflazione» a causa del declino dei prezzi energetici, che riflette profondi cambiamenti nei mercati mondiali. Ed è proprio sul fronte dei prezzi che le osservazioni del numero uno della Bce hanno suscitato qualche perplessità fra gli addetti ai lavori. Draghi ha infatti detto che la frenata dell’inflazione a marzo, salita solo dello 0,5%, lontanissima quindi dall’obiettivo della Bce di un aumento inferiore ma vicino al 2%, è stata dovuta al fatto che «quest’anno Pasqua cade molto più tardi» rispetto al 2013. Il messaggio implicito è che ad aprile ci sarà un aumento una tantum dell’inflazione dovuto ai consueti aumenti dei prezzi in concomitanza con le vacanze e solo il dato di maggio renderà il quadro più chiaro.

A GIUGNO LA DECISIONE

Insomma, a meno di catastrofi, una decisione sulle misure straordinarie verrà presa solo a giugno. Guarda caso subito dopo le elezioni europee del 25 maggio. Perché lanciare un piano di allentamento quantitativo prima di quel voto scatenerebbe un’infinità di polemiche in Germania e potrebbe anche portare fieno sul carro dei partiti anti euro, che a quel punto direbbero: la situazione è talmente disastrosa da costringere la Bundesbank a dare il via libera agli acquisti di titoli, cosa che fino a ieri vedeva come il fumo negli occhi. Ma è saggia questa politica del rinvio da parte della Bce? Finora i mercati sono stati al gioco, accontentandosi delle parole di Draghi, ma c’è il pericolo che presto vogliano vedere i fatti. Gli economisti di Barclays, per esempio, hanno già detto che, con il nuovo rinvio, l’istituto di Francoforte «si sta prendendo rischi non necessari» perché con un’inflazione così bassa il processo di svalutazione interna è molto più difficile, così come il raggiungimento degli obiettivi sul debito pubblico. Come se non bastasse, poi, con un’inflazione allo 0,5% basta anche un piccolo errore statistico per non accorgersi che in realtà Eurolandia è già in deflazione (di certo lo è la Spagna, dove l’indice è sceso dello 0,2% a marzo).

IL SETTORE BANCARIO

Nel corso della conferenza stampa, Draghi, dopo aver ricordato che le misure convenzionali non sono esaurite (e quindi potrebbe arrivare un nuovo taglio dei tassi) ha spiegato che oltre alla possibilità di un Qe sono state discusse anche altre misure tra cui una nuova Ltro (rifinanziamento delle banche per quantità illimitate e a tasso fisso), su cui però ci si è soffermati meno rispetto ad altre opzioni, e la sterilizzazione del vecchio programma di acquisto di bond Smp. Per quanto riguarda il piano di allentamento quantitativo, il numero uno dell’Eurotower ha affermato che bisogna considerata anche la situazione del settore bancario di Eurolandia e le differenze tra i sistemi della Eurozona e degli Usa. Di conseguenza, secondo Draghi, per la Bce sarebbe più semplice acquistare solo titoli emessi dalle banche, in particolare gli Abs, ovvero i bond emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione, e non i titoli di Stato. Draghi infine si è lasciato andare a una critica nei confronti di Christine Lagarde. Alla vigilia del consiglio direttivo della Bce, la direttrice generale del Fmi aveva spinto per l’adozione di misure non convenzionali. Il Fmi «potrebbe dare indicazioni anche il giorno prima della riunione della Federal Reserve», ha replicato Draghi.

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