Skip to main content

Questo articolo è ripreso da BloGlobal Opi – Osservatorio di politica internazionale, un portale di analisi e approfondimento sulla realtà politica ed economica internazionale.

Nonostante il parere favorevole di Israeliani e Palestinesi, quello altrettanto conciliante di Stati Uniti e dei ministri degli Esteri di tutti i Paesi arabi, favorevoli ad estendere i colloqui di pace oltre la data limite del 29 aprile, le trattative tra le parti rischiano di rivelarsi l’ennesimo flop del più lungo conflitto della storia contemporanea. Dopo le tensioni dei mesi passati, il mancato rilascio dell’ultimo gruppo di prigionieri palestinesi – circa una trentina il 29 marzo scorso come previsto dal pre-accordo di luglio 2013 – e le reciproche accuse di sabotaggio, il processo di pace israelo-palestinese è attualmente in stallo.

L’ultimo episodio che ha fatto saltare il già fragile equilibrio è stata la decisione di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di chiedere l’adesione della Palestina a 15 convenzioni e accordi internazionali, tra cui la Corte Internazionale di Giustizia, scelta che permetterebbe al governo palestinese di ottenere diversi benefici a livello internazionale ma che contravviene agli impegni assunti il 30 luglio 2013 a Washington dalla delegazione guidata da Saeb Erekat di sospendere qualsiasi tentativo di ottenere ulteriori riconoscimenti alle Nazioni Unite per aumentare le pressioni su Israele.

Una decisione che ha spinto il segretario di Stato americano John Kerry a cancellare la visita prevista per il 2 aprile a Ramallah, in aperta contestazione nei confronti dell’establishment palestinese, e a far dichiarare a Jen Psaki, portavoce del Dipartimento di Stato, che si tratta di “un importante passo indietro verso un accordo di pace in Medio Oriente”. La visita in Cisgiordania era una fondamentale tappa di avvicinamento alla road map prestabilita e che serviva a completare un accordo sul prolungamento dei negoziati di pace. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti si sono mostrati molto critici verso Israele e nei confronti delle sue ultime decisioni – mancata scarcerazione dei prigionieri palestinesi e l’annuncio della costruzione di 700 nuove unità abitative a Gerusalemme Est –, accusandoli di aver di fatto bloccato il processo di pace.

Abu Mazen, durante un incontro il 9 aprile al Cairo tra i ministri degli Esteri della Lega Araba nel quale ha fatto il punto sull’attuale stato dei negoziati con Israele, ha poi sollecitato i Paesi arabi a dare seguito alle “promesse finanziarie” che prevedono lo stanziamento mensile di 100 milioni di dollari per l’ANP, risorse necessarie a garantire una ripresa nei Territori ma soprattutto a tamponare il taglio delle tasse deciso dal governo israeliano. Infatti, alla decisione palestinese di dare una scossa ai negoziati di pace attraverso un coinvolgimento della Comunità internazionale, il premier Benjamin Netanyahu ha risposto bloccando il trasferimento delle tasse ai palestinesi, cioè 80 milioni di euro in tributi mensili che l’amministrazione israeliana riscuote per suo conto e poi cede all’ANP per pagare le sue amministrazioni nei Territori Occupati. Il taglio delle imposte rientra all’interno di un pacchetto di dure misure decise dall’esecutivo israeliano il 10 aprile scorso che prevede la sospensione di tutte le forme di cooperazione politica, giudiziaria, economica e commerciale – tranne quella diplomatica – in progetti vari in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, come lo sviluppo di un impianto per il gas, un tetto ai depositi bancari palestinesi nelle istituzioni finanziarie israeliane e altre misure forti sulle restrizioni alla circolazione dei cittadini arabo-palestinesi dentro e fuori i territori.

In particolare verso quest’ultima misura si sono levate nuovamente le proteste delle ong che hanno ricordato come il nuovo Rapporto sui Territori Occupati pubblicato lo scorso febbraio e redatto da Richard Falk, accademico statunitense e Inviato Speciale dell’ONU, definisce “le politiche di Israele nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania equivalenti all’apartheid”. Il duro parallelo con la politica razziale praticata in Sud Africa fino al 1993 viene spiegato da Falk “con il fatto che Israele esercita una sistematica oppressione nei confronti del popolo palestinese”. Sempre dalle pagine del Rapporto A/HRC/25/67, Falk spiega meglio il paragone soffermandosi su alcune pratiche come ad esempio il fatto di “applicare il diritto civile nei confronti degli abitanti degli insediamenti e quello militare verso i Palestinesi”. Oppure “l’effetto combinato di misure che proteggono i cittadini israeliani, facilitano le loro aziende agricole, espandono gli insediamenti e rendono la vita impossibile ai Palestinesi”.

Israele e Palestina, i dialoghi tra sordi

Questo articolo è ripreso da BloGlobal Opi – Osservatorio di politica internazionale, un portale di analisi e approfondimento sulla realtà politica ed economica internazionale. Nonostante il parere favorevole di Israeliani e Palestinesi, quello altrettanto conciliante di Stati Uniti e dei ministri degli Esteri di tutti i Paesi arabi, favorevoli ad estendere i colloqui di pace oltre la data limite del…

Identità del Centrodestra e futuro dell'Italia

L’editoriale uscito sul Corriere della Sera di Antonio Polito ha il merito indiscutibile di puntare il dito sul dato essenziale presente nella nostra geografia politica. La destra che non cambia, la sinistra che fa la destra, secondo l’adagio utilizzato da Matteo Renzi, non è soltanto espressione di una difficoltà generale ad articolare proposte elettorali che abbiano un minimo di normalità,…

Ecco come il Centrodestra di Alfano potrà sopravvivere a Renzi

C'è un “viaggio nel deserto” che attende il centrodestra per ritrovare unità, identità e leadership. Non sarà un percorso semplice, spiega a Formiche.net Vittorio Macioce, caporedattore e firma del Giornale, già nel laboratorio politico-culturale di Ideazione con Domenico Mennitti. Macioce dispensa in questa conversazione alcuni consigli per “attraversarlo”, nell'ambito degli approfondimenti avviati dopo questo editoriale di Formiche.net. C’è una cultura…

Come arriva il generale Sisi all’appuntamento elettorale in Egitto

Firme, liste, programmi e fuori programmi. Non sarà semplice per il generale al Sisi accostarsi ad un appuntamento elettorale ufficialmente con il vento in poppa, ma minato da una serie di variabili che di fatto potranno condizionare la vita politica egiziana. Quel che è certo è che sino al prossimo 26 maggio l’ex capo delle forze armate avrà da risolvere…

Chi sono i ribelli di Donetsk che chiedono la secessione dall'Ucraina

Da quando è esplosa la crisi in Ucraina, molti nomi poco noti ai lettori occidentali sono spuntati nelle prime pagine della stampa internazionale. Uno di questi è Donetsk, una città dell'Ucraina orientale. Ora, secondo i ribelli che vi si sono insediati, la zona è diventata una Repubblica popolare. SCELTA DALLA BASE POPOLARE All’ultimatum del governo di Kiev gli attivisti filorussi…

Berlusconi ai servizi sociali rigenererà anche Forza Italia alle Europee

L’ordinanza del tribunale di Milano è arrivata e si è conclusa con una decisione di buon senso una vicenda che sapeva di tutto tranne che il buon senso. Succede che Silvio Berlusconi andrà ai servizi sociali in prova, dove quel “in prova” suona come un avvertimento peraltro non sottinteso. Potrà fare campagna elettorale per le prossime elezioni europee, muoversi liberamente…

Anche il Lussemburgo ora vuole giocare "sostenibile"

Da paradiso fiscale a paradiso della sostenibilità. È forse un po’ presto per parlare di vera e compiuta metamorfosi. Ma il messaggio è pari a quello di una scoperta scientifica di rilievo storico: il Lussemburgo vuole proporsi come benchmark della «finanza sociale e inclusiva». Il segnale lanciato nei giorni scorsi dal Granducato conferma quanto la finanza sostenibile sia un fattore…

Renzi e il ventre armato delle sinistre

Il ventre di un qualsiasi partito funge sistematicamente da ritardatore, si tratti di un movimento di centro, di destra o di sinistra, come più frequentemente accade in Italia da qualche anno. Dove le sinistre ufficiali (in parlamento) sono almeno tre: Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e Sel. Il ventre dei partiti non è una metafora, cui si ricorre per giustificare…

Vi spiego la rivoluzione rosa di Renzi. Parla Lella Golfo

È un giorno di “grande gioia” per Lella Golfo, presidente della Fondazione Bellisario, da sempre in prima linea nel sostenere i diritti e la carriera delle donne. Ora che quattro di esse sono state designate alla presidenza di quattro società partecipate dal Tesoro, l’ex parlamentare del Pdl non esita a definirla una “rivoluzione culturale”. Presidente, si può davvero parlare di…

Facebook, ecco i 13 Paesi che più censurano i post

Secondo il rapporto Global Government Requests pubblicato da Facebook, tra i Paesi che chiedono la cancellazione di post dal social network ci sono India, Pakistan, Turchia, ma anche Israele, Germania e Francia. I CASI DI CENSURA Seguendo l’esempio di trasparenza di Google, Mark Zuckerberg ha deciso di pubblicare i Paesi che interferiscono di più su quello che viene pubblicato su…

×

Iscriviti alla newsletter